L'analisi. Il voto anticipato di Sánchez: uno choc salutare del tutto per tutto
Pedro Sánchez ha scompaginato le carte dopo la sconfitta alle amministrative
Meglio un’amputazione netta, che i prossimi sei mesi da anatra zoppa, con un’emorragia continua. Le elezioni anticipate da Pedro Sánchez al prossimo 23 luglio sono sembrate sulle prime una soluzione drastica e azzardata. Quasi un harakiri nel clamoroso cambio di ciclo a favore dei Popolari e il sostanziale ritorno all’alternanza bipartitica fra le due forze egemoni, segnato dalla scomparsa del liberale Ciudadanos, che il Psoe non è stato capace di capitalizzare. La convocazione alle urne, una sorpresa per tutti. Anzitutto per i socialisti, che lo aspettavano al varco nell’esecutivo federale, dopo la débâcle sull’intero territorio nazionale, con l’eccezione di Castilla-La Mancha, dove ha rinnovato maggioranza assoluta l’unico governatore della vecchia guardia, Emiliano García Page, che ha sempre rinfacciato a Sánchez l’alleanza con Podemos e la stampella dei nazionalisti baschi e catalani. Ma alla riunione dell’organo direttivo, il leader socialista si è presentato solo dopo aver annunciato alla nazione le dimissioni del governo e le politiche anticipate. Da astuto “animale politico”, Sánchez sa che il tempo non gioca a suo favore. Impossibile in pochi mesi invertire la tendenza al logoramento della coalizione di governo. Così come tessere una relazione diversa con il socio stabile Podemos, uscito a pezzi dalle amministrative. O anche diverse alleanze con le forze periferiche che gli hanno permesso di approvare quattro leggi di bilancio nella legislatura. E, dunque, ha deciso di giocarsi il tutto per tutto, sperando che lo choc abbia l’effetto di mobilitare la sinistra, davanti alla realtà dei governi regionali a guida Pp-Vox, con gli insulti dell’ultradestra, che non ha mai riconosciuto quello di Sánchez come un governo legittimo, in crescendo. L’alleanza a destra è scontata, tanto che Alberto Nuñez-Fejoo, riconosceva ieri di aver già discusso con Santiago Abascal dei risultati elettorali, favorevoli per entrambi. Che, spingono la Spagna progressista nella scia della vicina Italia del governo Meloni e preparano lo sbarco alla Moncloa. Saranno gli spagnoli a decidere se impedirlo oppure no, è il ragionamento di Sánchez. Intanto, la nuova corsa nell’ininterrotta campagna elettorale costringe anche i più riottosi nel Psoe a serrare le file. E prende in contropiede Podemos, che dovrà subito decidere se unirsi all’abbraccio dell’orso diluendosi in Sumar, la nuova piattaforma della sinistra fondata da Yolanda Diaz, per presentarsi a luglio con una lista comune. Oppure rischiare di sparire nelle urne, dieci anni dopo la fondazione, come l’altro partito nato dai movimenti cittadini, Ciudadanos. Finora il fondatore Pablo Iglesias, con la segretaria Ione Belarra, ha opposto resistenza. Ma, dopo i risultati di domenica, non ha più alternative