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La crisi Russia-Ucraina. Putin, sovranità calpestata ed errori occidentali

Andrea Lavazza martedì 22 febbraio 2022

Tanto tuonò che piovve. Vladimir Putin rompe gli indugi e annuncia in diretta televisiva il riconoscimento (che equivale a futura annessione) delle repubbliche separatiste autoproclamate di Donetsk e Lugansk. L’escalation verbale seguita a quella militare alla frontiera ucraina – dove ormai ci sono 190mila soldati russi – non poteva, probabilmente, prolungarsi oltre. Il lavorio diplomatico non aveva più nulla da proporre nel momento in cui Mosca era decisa a ottenere un risultato concreto a seguito della mobilitazione bellica e il fronte Nato – Europa e Stati Uniti – non era disposto a cedere su tutta la linea alle richieste del Cremlino, a partire da impegni vincolati sull’allargamento dell’Alleanza (no permanente a Kiev) e il ritiro degli armamenti dagli altri Paesi dell’Est del continente. Il presidente russo ha illustrato la sua dottrina con un revisionismo storico che è partito dalle scelte fatte da Lenin un secolo fa.

Egli avrebbe separato l’Ucraina dalla Russia, creando un vulnus nella cultura secolare unitaria dell’antica Rus’. Oggi il Paese confinante sarebbe diventato un fantoccio dell’Occidente, pronto a farsi armi nucleari e a minacciare la sua vera madre patria, che già ricatta con il gas e la cui minoranza nel Donbass reprime fino al genocidio. Quanto ci sia di vero in queste accuse, per la gran parte pretestuose, è presto detto. Nelle zone contese nemmeno il governo di Kiev rispetta gli accordi di Minsk (ormai consegnati al macero dalla mossa russa) e non tutela adeguatamente i cittadini che hanno legami e guardano a Mosca.


Fatti veri e seri, ma non un genocidio. Tutto il resto è una gigantesca fake news prodotta per dare una parvenza di giustificazione a un atto di ostilità e una violazione della sovranità di un Paese che si staccò dall’Urss nel 1991 con tutti i crismi della legalità. La realpolitik non si fa però con l’appello ai princìpi e agli ideali. Bisogna ora fare i conti con il fatto compiuto, da molti già messo in conto da quando l’escalation alle frontiere si era fatta massiccia.

La Nato, gli Usa e l’Europa hanno giocato una partita tutt’altro che perfetta. Il muro di fermezza, la minaccia di sanzioni inedite e pesantissime unita a qualche potenziale concessione ha forse evitato l’invasione totale. Ma non c’era, fin dall’inizio, una vera strategia di fronte all’avanzata parziale, alla presa dell’Est dell’Ucraina. Vedremo condanne e alcune ritorsioni economiche. Non le più devastanti. L’incognita è quanto cruento potrà essere un breve conflitto limitato alle due entità secessioniste, dove il contingente impiegato da Putin – il maggiore dalla fine della Seconda guerra mondiale – avrà gioco facile sulla resistenza filo-ucraina. La Nato dovrà convincere Kiev a evitare di allargare gli scontri.

Ci sarà un flusso di profughi in fuga dal Donbass verso Ovest e verso Est. Ulteriori sviluppi della crisi sono al momento imprevedibili, anche se la decisione del Cremlino avrà sicuramente importanti conseguenze e ripercussioni geopolitiche. (Non valgono gli stessi – veri e falsi – argomenti nelle pretese cinesi su Taiwan?). Putin ha anche usato strumentalmente la spaccatura della Chiesa ortodossa per legittimare un possibile intervento. Esattamente il contrario di quello che papa Francesco aveva accoratamente rimarcato domenica: com’è triste quando i cristiani pensano a farsi la guerra.