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No man's land. Somalia, armi, estremisti e schiavitù: sviluppo in ostaggio

Paolo M.Alfieri domenica 4 febbraio 2024

Controlli nell'aeroporto di Mogadiscio dopo un attentato

Armi, un mare di armi. E droga, merci bandite, persone rese schiave. Nessun Paese africano ha un tratto di costa più esteso di quello della Somalia. E al tempo stesso, lo ha ribadito nei giorni scorsi Transparency International, non c’è Paese al mondo in cui ci sia più corruzione che qui. Grosse mazzette di dollari, istituzioni ancora deboli e alle prese con il terrorismo islamista di al-Shabaab che non demorde, un territorio lontano dagli occhi del mondo se non ora che, improvvisamente, dal Golfo di Aden rischia di strozzarsi il commercio internazionale. I traffici illeciti, qui, sono la norma. Benvenuti in Somalia, terra di nessuno da tre decenni quasi per definizione che ora prova a rialzarsi, ex colonia italiana che con il nostro Paese prova a mantenere ancora legami. Nei giorni scorsi, a Roma, al Forum Italia-Africa era presente anche il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud: «Dobbiamo concentrarci sull'economia, per evitare che i nostri giovani fuggano all'estero o che trovino più conveniente essere pagati per imbracciare un’arma», ha riconosciuto, non nascondendo peraltro la crucialità del tema sicurezza.

Nelle scorse settimane, forze americane hanno intercettato un carico di 2mila fucili d’assalto Ak-47 nelle acque internazionali tra l’Iran e lo Yemen diretto in Somalia, solo uno dei tanti episodi simili già venuti alla luce nel corso degli anni. Secondo l’intelligence occidentale, le armi non sono solo dirette agli shabaab somali, ma grazie allo scarso controllo del territorio e alle connivenze locali vengono anche trafficate verso gruppi armati in Kenya, Etiopia e Mozambico, contribuendo ad innalzare le minacce alla sicurezza in una regione in cui non mancano i motivi di scontro. Non di rado, le armi arrivano via mare in Somalia per poter essere poi trasferite sull’altra costa alle milizie yemenite Houthi, che negli ultimi tempi hanno messo sotto scacco il commercio verso il Mar Rosso con i loro attacchi alle navi commerciali. Afflitta da tre decenni di conflitti, choc climatici ricorrenti, epidemie e povertà, la Somalia è stata a lungo definita uno “stato fallito”. A livello internazionale, la narrazione sul Paese sta ora lentamente cambiando e, sebbene fragile, la Somalia è ritenuta in cammino verso una strada di maggiore stabilità, ma le sfide restano significative, a partire dal fatto che metà della popolazione, oltre 7,5 milioni di persone, necessita di aiuti umanitari. La sicurezza, però, resta il nodo centrale. Gli shabaab, che non hanno mai interrotto i loro attentati, sono stati allontanati da Mogadiscio sempre più verso Sud. È proprio nelle aree periferiche però, che il loro reclutamento fa ancora presa, soprattutto in zone in cui la perdita dei mezzi di sussistenza tradizionali rende le comunità più vulnerabili. Gli islamisti, peraltro, impongono “tasse” e taglieggiamenti che, uniti a traffici e legami internazionali, garantirebbero loro entrate annuali per 100 milioni di dollari, stando a un report del Consiglio di sicurezza dell’Onu che stima i miliziani tra i 7 e le 12mila unità. Il solo traffico clandestino di carbone somalo verso il Golfo Persico, hanno indicato le autorità Usa, ha garantito agli estremisti oltre 20 milioni di dollari l’anno.

Non si ferma, inoltre, il traffico di esseri umani, come sottolineato ancora nelle scorse settimane dal Dipartimento di Stato Usa, secondo cui «al-Shabaab continua a facilitare i crimini di tratta di esseri umani», anche infiltrandosi in madrasse e moschee e con sequestri e incursioni nelle scuole, mentre donne e ragazze vengono ridotte in schiavitù sessuale. La forza dell'Unione Africana che ha sostituito l'Amisom – la Missione di transizione dell'Unione Africana in Somalia (Atmis) – ha fornito sul terreno un po' di respiro alle autorità centrali somale, ma il suo impegno dovrebbe chiudersi entro quest’anno. «Da 16 anni siamo in guerra con loro e quest'anno, il primo dicembre, finalmente la missione di sicurezza africana si potrà concludere. Così la Somalia prenderà totalmente su di sé la propria sicurezza, e avrà bisogno del sostegno dell'Italia», ha detto nei giorni scorsi il presidente somalo a proposito della lotta agli shabaab. Ma molti clan non garantiscono alle autorità centrali il sostegno e la lealtà necessarie contro la formazione estremista, né sono sparite le storiche rivalità intra-claniche.

Mohamud, 69 anni, ex docente universitario e già presidente tra il 2012 e il 2017, è arrivato alla presidenza promettendo agli Hawiye, il clan più popoloso della Somalia, priorità ai suoi interessi, ma secondo gli analisti non ha abbastanza forze di contenimento per mantenere sotto controllo le aree riconqui-state, soprattutto nel centro del Paese e nelle zone rurali. Così, gli attentati continuano, anche a Mogadiscio. Anche il tipo di governance che verrà introdotto nelle aree riconquistate è cruciale. “Modelli” ormai radicati in Somalia ruotano attorno al malgoverno, alla corruzione, all'emarginazione tribale, di cui gli islamisti sono in grado di approfittare. Fattori non solo locali incideranno molto sul destino di una regione troppo a lungo considerata terra di nessuno. A Nord l’alleanza stretta tra la regione autonoma del Somaliland con l’Etiopia – che ne ha riconosciuto l’indipendenza in cambio dell’accesso ai suoi porti, provocando l’ira di Mogadiscio –, sul mare l’arrivo della missione navale Ue tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso in funzione anti-Houthi sono entrambi elementi che avranno un peso sul futuro somalo. Così come lo avrà il processo di “nation building”, la capacità di costruire di nuovo un’identità nazionale e la struttura di un Paese così a lungo diviso.

Conteranno, evidentemente, anche i fondi disponibili. A dicembre il Fondo monetario internazionale e l’Associazione per lo sviluppo internazionale di Banca mondiale hanno approvato per la Somalia la riduzione di 4,5 miliardi di dollari di debito, che è sceso così da 5,2 miliardi a 557 milioni di dollari. Il debito aveva iniziato ad accumularsi a partire dalla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991, arrivando a coprire fino al 64% del Pil e costituendo un ulteriore macigno sullo sviluppo della Somalia e il contrasto a gruppi armati e traffici illeciti. Aver ridotto il debito vorrà dire anche poter accedere più facilmente a risorse finanziarie aggiuntive sui mercati internazionali, considerando che attualmente le entrate statali, relative per lo più agli introiti derivanti da porti e aeroporti, non superano i 345 milioni di dollari. Ancora troppo poco, evidentemente, per impensierire le attuali ramificazioni criminali e terroristiche, che così a lungo hanno prosperato in questa terra sospesa verso un futuro del tutto incerto.

L'articolo fa parte di una serie la cui precedente puntata è stata pubblicata il 28 gennaio 2024.