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LA CRISI. Sogni infranti a Detroit «È una terra di nessuno»

Elena Molinari sabato 20 luglio 2013
Come si sopravvive in una città fallita? Se lo chiedono gli insegnanti, gli spazzini, i poliziotti e i pensionati di Detroit che da ieri abitano all’interno del più grande esperimento politico, fiscale e sociale mai verificatosi negli Stati Uniti: una metropoli da 700mila residenti che non ha soldi per andare avanti e rifiuta di pagare i suoi debiti, mettendo nelle mani di un giudice la decisione di quando e quanto sborsare per pensioni, stipendi pubblici e servizi sociali. «Quello che è assurdo è che l’industria dell’auto è stata salvata, è in ripresa, e ci sono molti meno senza lavoro che nel 2008 o 2009. La città, invece, non è riuscita a salvarsi», dice con il capo a ciondoloni Chris Carlton, un operaio della Chrysler. In effetti il 30 per cento di disoccupazione raggiunto tre anni fa si è ridotto al 16, mentre le tre sorelle dell’auto hanno ripreso ad assumere, anche se con cautela e con stipendi dimezzati, e a sfornare quattroruote competitive. Ma nel frattempo un quarto degli abitanti della metropoli in crisi se n’è andato, soprattutto i giovani, e molte aziende hanno cercato fortuna altrove, lasciando in città anziani, edifici vuoti e case disabitate. Mantenere un centro urbano di 360 chilometri quadrati costa, i pensionati (che a Detroit sono il doppio dei lavoratori) e i dipendenti municipali costano, e se gli introiti delle tasse, sia sui redditi che sugli immobili, continuano a calare, il buco rosso non può che approfondirsi. Quello di Detroit è arrivato a toccare i 20 miliardi di dollari. Dopo che tutti i tentativi di ottenere sconti dai creditori sono falliti, alla città non è rimasta altra opzione che portare tutte le sue scartoffie in tribunale. Cosa succederà adesso è aperto alle interpretazioni. «Come faranno gli anziani se non ricevono gli assegni dal Comune?», si chiedeva ieri Derek Onion, la cui madre ha lavorato per 35 anni al centro sportivo municipale del suo quartiere, prima che chiudesse e fosse costretta al prepensionamento. «Forse il signor Orr si aspetta che i loro figli li mantengano. Come se potessimo permettercelo». Il 35enne metalmeccanico alludeva a Kevyn D. Orr, l’amministratore straordinario che il governatore dello Stato del Michigan a marzo ha messo a capo della città. A capo anche del suo sindaco, il democratico Dave Bing: una mossa che ha creato malumori politici. Orr è un avvocato fallimentare e la sua missione è riportare Detroit in attivo. Come, non è chiaro.«Se tagliano ancora i servizi non so cosa ci rimarrà – commenta Melinda Brown Duncan, una residente afro-americana della periferia, che vive circondata da case abbandonate – qui non c’è un lampione che funzioni. Due scuole hanno chiuso. La spazzatura si accumula. E hanno licenziato tanti poliziotti che non se ne vede uno da mesi. Questa è terra di nessuno».In effetti lo stesso Comune ammette che il 40 percento dell’illuminazione pubblica è guasta, che la metà dei parchi sono stati chiusi e che la polizia ha perso quasi un terzo della sua forza dal 2008. Molti – abitanti di Detroit, sindacalisti e associazioni di aiuto per i poveri – si augurano che questo sia il fondo e che la bancarotta sia un modo di cominciare a risollevarsi. Ma nessuno può esserne certo. Nessuna città così estesa e complessa ha mai dichiarato fallimento negli Usa. In tutto, meno di 60 amministrazioni locali hanno fatto default dal 1950 ad oggi negli Stati Uniti, e la più grande, Stockton, in California, è grande meno della metà di Detroit. Il declino della culla dell’industria americana, che nella prima metà del XX secolo attirava migliaia di famiglie da tutti gli Stati Uniti come simbolo del progresso dell’intera nazione, potrebbe continuare per anni, così come l’esodo di chi può permettersi di andarsene. Ora invece Detroit è osservata da tutti gli angoli degli Usa per un motivo ben diverso da quello che ne faceva l’invidia nazionale 50 anni fa. Nonostante ieri sera un giudice del Michigan abbia dichiarato la bancarotta «incostituzionale», ormai il caso è legalmente in territorio federale e non può essere ritirato. Se un nuovo giudice autorizzerà il Comune a non pagare i debiti, altre città potrebbero seguire la sua strada. Non verso il progresso, ma verso una veloce liberazione dai debiti.​