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Medio Oriente. Netanyahu-Biden: scontro frontale. Israele attacca l’Iran in Siria

Nello Scavo sabato 20 gennaio 2024

L'edificio distrutto a Damasco

Biden è stato smentito nel giro di poche ore, poco prima che si aprisse un nuovo fronte di tensione con l’uccisione, a Damasco, del capo in Siria dei pasdaran iraniani, di nuovi attacchi ai soldati Usa in Iraq. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha negato di aver detto al presidente americano di «non escludere» la possibilità di uno Stato palestinese. In un colpo solo ha indirettamente dato del bugiardo al capo della Casa Bianca e ribadito senza sfumature che l’ipotesi dei «due popoli in due Stati» non è neanche una ipotesi. Una posizione che però in Israele conta crescenti critiche. «Il rifiuto di accettare la soluzione dei due Stati per israeliani e palestinesi e la negazione del diritto ad uno Stato per il popolo palestinese è inaccettabile», ha affermato il segretario generale dell’Onu António Guterres.

La smentita è arrivata con un comunicato dell’ufficio del premier nel pieno del Sabato ebraico, segnando il momento più teso nelle già difficili relazioni tra i due alleati. Nella sua conversazione telefonica di venerdì con Biden, «il primo ministro Netanyahu ha ripetuto – si legge nella nota ufficiale – la sua coerente posizione da anni, espressa anche in una conferenza stampa il giorno precedente: dopo l’eliminazione di Hamas, Israele deve mantenere il pieno controllo di sicurezza della Striscia di Gaza in modo da assicurare che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele, e questo confligge con la richiesta di sovranità palestinese», afferma il premier. Interrogato dai giornalisti in Usa, se è impossibile un accordo con due Stati fino a quando Netanyahu sarà premier, Biden aveva risposto che «non è così». Aggiungendo che «ci sono tanti tipi di soluzioni con due Stati», aveva spiegato. Le parole del premier israeliano portano acqua al mulino di Hamas, che per prima si era espressa irridendo il presidente Usa. «L’illusione che predica Biden su uno Stato palestinese e sulle sue caratteristiche non inganna il nostro popolo», aveva affermato Izzat al-Rishq, esponente dell’ufficio politico di Hamas. Yair Lapid, il leader centrista dell’opposizione alla Knesset, il Parlamento israeliano accusa Netanyahu di essere «un irresponsabile».

Il fotogramma, tratto da un filmato delle tv siriane, cattura il fumo seguito all’attacco mortale contro cinque esponenti dei pasdaran a Damasco - Reuters

I sondaggi danno Lapid in forte crescita, con oltre il 50% del consenso, mentre continuano a precipitare le quotazioni di Netanyahu. Per il capo dell’opposizione «abbiamo bisogno di un cambiamento, ora. Non si può più aspettare», ha insistito Lapid che ha fatto aperture al ruolo dell’Autorità nazionale palestinese per il dopo Gaza. Hamas non si fa attendere: «Alla fine, Israele sarà costretto a raggiungere un accordo sugli ostaggi». E a mettere sotto pressione il capo del governo israeliano sono proprio le famiglie degli ostaggi che rimangono ancora in mano ad Hamas. Il forum dei familiari degli ostaggi si è accampato all’esterno della casa di vacanza del premier, nella città di Cesarea, dove Netanyahu trascorre abitualmente i fine settimana. «Le famiglie sono stufe, chiediamo subito un accordo», si legge in una nota. Resteranno lì fino a quando il capo del governo non uscirà ad ascoltarli. Nella serata, migliaia di persone a Tel Aviv hanno inscenato una nuova protesta per chiedere le dimissioni del premier.

Le ripercussioni a questo punto non sono prevedibili. Ieri l’attacco missilistico sulla capitale siriana Damasco ha ucciso una decina di persone, compresi 4 membri delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (Pasdaran), tra cui il capo dell’unità informativa della forza, ha dichiarato a Reuters una fonte di sicurezza dell’alleanza regionale pro-Siria. La tv iraniana ha detto che l’appartamento preso di mira era la residenza di consiglieri iraniani nella capitale siriana. Dura, chiaramente, la replica di Teheran: «La Repubblica islamica non lascerà senza risposta i crimini del regime sionista», ha minacciato il presidente Ebrahim Raisi rincarando la dose dopo dichiarazioni di «diritto di risposta», fatte dal ministero degli Esteri. A confermare i peggiori presagi di escalation regionale la situazione in Iraq, dove venti missili (mai così tanti in un solo raid) dei filo-sciiti si sono abbattuti base aerea americana di Ein Al-Assad: sei i feriti.