L'Organizzazione per la
liberazione della Palestina (Olp) "è contraria a trascinare il popolo
palestinese e i suoi campi nel conflitto in corso in Siria e a
prendere parte al conflitto armato nel campo di Yarmuk con la scusa di
salvarlo". È quanto ha dichiarato l'Olp in una nota, smentendo di
fatto quando dichiarato ieri dall'inviato del presidente palestinese
Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in Siria, Ahmad Majdalani, che aveva
annunciato che la leadership palestinese aveva concordato con il
regime di Damasco l'uso della forza militare per espellere i jihadisti
dello Stato Islamico (Is) dal campo profughi di Yarmuk, dove i
miliziani sono entrati lo scorso primo aprile.
Nella nota, infatti, l'Olp esprime il suo rifiuto di "farsi trascinare
in un'azione armata di qualunque tipo o sotto qualsivoglia copertura".
Al contrario, l'Olp "lavorerà allo scopo di fermare ogni forma di
attacco e di azione armata in collaborazione con tutte le parti
interessate, soprattutto l'Unrwa (l'Agenzia delle Nazioni Unire per i
Rifugiati), e tutti quelli che hanno interesse a non arrecare al
campo profughi altre distruzioni e sofferenze".
"L'Olp - si legge ancora nella nota - fa appello a fare ricorso a
tutti i mezzi" non armati "per fermare lo spargimento di sangue del
nostro popolo e per scongiurare nuove distruzioni ed emigrazioni della
popolazione del campo di Yarmuk".
"Abbiamo concordato con il governo siriano il modo
per mandar via i terroristi dell'Is dal campo profughi di Yarmuk -
aveva detto ieri Majdalani alla radio Voice of Palestinese - La
soluzione militare è l'unica per mandare questi terroristi fuori" da
Yarmuk, il più grande campo profughi in Siria, otto chilometri a sud
di Damasco.
Nel campo profughi di Yarmuk vivevano 160mila palestinesi prima dello
scoppio della rivoluzione contro Bashar al-Assad nel marzo del 2011,
contro i 15mila di oggi. Due giorni fa era stato il ministro siriano
per la Riconciliazione nazionale, Ali Haidar, ad affermare per primo
che a Yarmuk era possibile solo "una soluzione militare" contro "i
militanti e i terroristi".
L'impegno della Caritas Siria. Noi di Caritas Siria siamo pronti ad aiutare la gente; veramente, non ho comunicazione regolare con Damasco, non c’è internet ad Aleppo da almeno due settimane e più. Ho parlato con il direttore esecutivo di Caritas che si trova a Damasco, mi ha detto che la situazione è molto complicata. Ci sono tanti problemi. Noi come Caritas non abbiamo la possibilità di andare sul campo; la cosa che possiamo fare è accogliere le famiglie che arrivano: questa è la nostra politica. Non possiamo andare sul posto della guerra, con una situazione di guerra civile, di pericolo, di distruzione, di violenze … Anche la gente di Damasco non sa esattamente cosa succede a Yarmouk.