«Ho visto seicento corpi ammassati sul pavimento dell’ospedale. Bimbi con gli occhi sbarrati e un liquido bianco intorno alla bocca». Ha ancora quelle immagini negli occhi, Majed, attivista siriana per i diritti umani. Eppure è trascorso esattamente un anno da quando, nella notte tra il 21 e il 22 agosto, le è toccato precipitarsi alla periferia di Damasco, nel sobborgo di Ghouta, per documentare una delle stragi più efferate della guerra siriana. Quella volta il regime aveva impiegato il gas Sarin sulla popolazione, considerata vicina ai ribelli. Il massacro ha choccato l’opinione pubblica internazionale, portando gli Usa a minacciare raid aerei contro Bashar al-Assad. La crisi è poi rientrata e il regime è stato costretto a consegnare le armi chimiche all’Onu. Il ricordo delle vittime di Ghouta – la cui stima oscilla tra le 600 e le 1.350 – resta una ferita aperta per il popolo siriano. «Una catastrofe umanitaria », l’ha definita ieri il segretario generale Ban Ki-moon, che ha chiesto alle parti di fermarsi. Anche perché – ha aggiunto – da allora il conflitto «non solo è proseguito senza tregua ma ha contribuito a condizioni che alimentano la proliferazione del terrorismo » . Oscurato sulla ribalta mediatica mondiale dalla crisi irachena, in effetti, il conflitto siriano va avanti con crudele banalità. Proprio ieri, un attacco dei ribelli ha ucciso il generale governativo Adnan Umran, considerato il responsabile del lancio di gas su Ghouta. E il macabro bilancio delle vittime è arrivato a quota 191mila. O meglio, tale era ad aprile, a tre anni dall’inizio del conflitto, secondo l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navy Pillay. Quasi novemila sono bambini. «Si tratta, senza dubbio, di una sottovalutazione del reale numero di persone uccise durante i primi tre anni di questa conflitto sanguinario », ha aggiunto Pillay. Questo significa che ora si è ampiamente superata la soglia dei 200mila morti. Una cifra «scandalosa », come la scarsa attenzione del mondo per quanto accade nel Paese. Il fatto che la guerra prosegua da così tanto tempo è «un vero e proprio atto d’accusa contro l’epoca in cui viviamo», ha concluso l’Alto commissario. Nel buco nero siriano sono state ingoiate, 23 giorni fa, le due volontarie italiane Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. All’inizio della settimana, il quotidiano britannico
Guardian aveva scritto che le ragazze, come altri due stranieri sequestrati, erano in mano allo Stato islamico (Is). Due giorni fa, però,
Avvenire aveva diffuso la smentita del sottosegretario agli Esteri, Mario Giro. Affermazioni ribadite ieri da Giro. «Non ci risulta che le affermazioni del
Guardian corrispondano alla verità», ha detto il sottosegretario. E ha confermato « l’assoluto impegno » dell’Italia «a liberare i nostri rapiti». Affinché ciò accada, però, è necessario lavorare « in silenzio e con il massimo riserbo », ha sottolineato Giro. Parole che «danno speranza», ha detto Silvana Alberio, sindaco di Gavirate, il comune in provincia di Varese dove vive Greta. Più scettico il padre di Vanessa, Salvatore Marzullo. «Girano solo notizie di stampa». E ha aggiunto: «Dalla Farnesina l’unica cosa che continuano a ripeterci è che dobbiamo avere pazienza».