L'escalation è iniziata. Il presidente Barack Obama l’aveva annunciata mercoledì scorso. Ora Washigton è passata ai fatti. Per fermare le «aspirazioni globali» – secondo la definizione del capo del Pentagono, Chuck Hagel – dello Stato islamico (Is), gli Stati Uniti hanno esteso le operazioni militari. La “prova generale” del nuovo corso si è tenuta ad al-Sadr Yusufiyah, 25 chilomentri a sud di Baghdad. La cittadina – nella valle dell’Eufrate, a metà strada tra l’enclave jihadista di Falluja e il corridoio strategico di Jurf al-Sakhr – è stata martellata ieri dall’aviazione statunitense. È la prima volta dall’inizio dell’operazione anti-Is dell’8 agosto che i raid oltrepassano la fascia settentrionale irachena. Per colpire il sud. Segno che la minaccia jihadista non è più ristretta all’area di Mosul, dove sono stati portati a termine finora 160 gli attacchi per difendere il personale americano e spezzare l’assedio al monte Sinjar. In questa zona si continua a combattere. I peshmerga curdi, forti della copertura aerea, hanno liberati altri sette villaggi cristiani. Gli estremisti, però, sono diffusi nel Paese. E controllano varie postazioni strategiche. Tra cui due centrali di stoccaggio dei cereali. Il che consente all’Is di “amministrare” a proprio vantaggio una preziosa fonte di approvvigionamento di cibo, come ha denunciato il Programma alimentare mondiale (Pam). Il grano potrebbe trasformarsi nelle loro mani in un ulteriore strumento di pressione. Adesso, però, l’America ha deciso di compiere un salto di qualità. Come dimostrato poco dopo dalle parole dello stesso Hagel in Senato: «Colpiremo i santuari di Is in Siria». La lotta – ha precisato il segretario della Difesa – «non sarà né facile né breve» ma non vi è altra scelta perché altrimenti «l’Is minaccerà direttamente il nostro territorio e i nostri alleati». Da qui la decisione di distruggere le basi logistiche, le infrastrutture e i centri di comando in territorio siriano. E, qualora gli attacchi aerei non fossero sufficienti, sarebbe possibile il ricorso a truppe di terra, secondo Martin Dempsey, capo degli Stati maggiori riuniti americani. «Per essere chiari – ha scandito il generale – se arriviamo ad un punto in cui ritengo che i nostri consiglieri debbano accompagnare le truppe irachene negli attacchi contro obiettivi specifici dell’Is, lo raccomanderò al presidente». Proprio in Siria sembra essere nascosto il califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Precisamente nella roccaforte di Raqqa, secondo il quotidiano arabo
al-Sharq al-Awsat. Proprio l’obiettivo di difendere il leader, avrebbe spinto l’Is a concentrare nella zona la sua potenza di fuoco. Tanto da riuscire a centrare, per la prima volta da giugno, uno dei bombardieri siriani che sorvolavano la città. I jihadisti hanno mostrato su Twitter il relitto del velivolo, nell’ambito del loro apparato di propaganda virtuale. Sul Web – principale strumento di “promozione” – lo Stato islamico ha diffuso, inoltre, nuove minacce ai Paesi impegnati nella coalizione. Il forum estremista
Minbar Jihadi ha «condannato i raid». «La Coalizione di Parigi fallirà», si legge, annunciando una «reazione della stessa forza per colpire gli americani e i loro alleati». A rincarare la dose è stato il magazine online
Dabiq. «Questo non è l’inizio ma la fine. È il culmine di una guerra lunga secoli, la cui fiamma non si è mai spenta, e che presto brucerà ogni cosa», si legge nella rivista ufficiale dei jihadisti, in cui le minacce apocalittiche si mescolano a foto degli ostaggi massacrati. Del resto, la “retorica dell’orrore” è uno dei pilastri della strategia di Is. Di nuovo, la Commissione Onu di inchiesta sulla Siria ha denunciato la sistematica esposizione dei minori alle violenze nel cosiddetto Califfato. L’indottrinamento dei più piccoli è prioritario per il gruppo terrorista. E il processo prevede una sorta di “normalizzazione” della brutalità. «I bambini sono invitati ad assistere alle esecuzioni e ad aggirarsi tra i cadaveri crocifissi», ha rivelato il presidente Sergio Pinheiro.