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CRISI E DIPLOMAZIA. Siria, ora si frena Flop dell'Onu: «Serve più tempo»

Loretta Bricchi Lee giovedì 29 agosto 2013
I venti di guerra si stanno intensificando sulla Siria. Anche senza il consenso della comunità internazionale. Ieri, la Gran Bretagna ha presentato alle Nazioni Unite una bozza di risoluzione che chiedeva l’autorizzazione di «tutte le misure necessarie», in base al Capitolo 7 della Carta dell’Onu, «per proteggere i civili dalle armi chimiche». Un passo sostanziale che, come sottolineato dal primo ministro britannico, David Cameron, avrebbe «condannato l’attacco chimico» del 21 agosto e dato l’opportunità al Consiglio di Sicurezza di esercitare «le proprie responsabilità».Dopo un incontro preliminare a porte chiuse dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina) è stato chiaro, però, che l’intesa non si sarebbe raggiunta, e Londra ha così deciso di non convocare in serata una riunione plenaria. Sia la Cina che la Russia, che sin dall’inizio hanno frenato sull’ipotesi di intervento avrebbero – secondo indiscrezioni – addirittura interrotto le discussioni. Mentre l’appello del ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, a sostenere la proposta di risoluzione britannica cadeva nel vuoto.Secondo il ministro degli Esteri britannico William Hague, un intervento militare contro il regime di Assad resta comunque ineluttabile, perché «non possiamo permettere che la nostra sicurezza sia minata da una normalizzazione strisciante nell’uso di armi che il mondo ha impiegato decenni per cercare di mettere sotto controllo». Londra e Washington, poi, «non hanno dubbi che il responsabile (dell’uso di armi chimiche) sia il regime di Assad», si legge in comunicato successivo a una conversazione telefonica, ieri, tra Cameron e Obama. Ma i tempi di un intervento, dato per imminente nei giorni scorsi, si allungano. E si “avvicinano” anche le posizioni, sinora opposte, di Londra e Berlino. Dopo il flop all’Onu, infatti, Cameron e Angela Merkel hanno avuto una conversazione telefonica in cui il primo, sinora forte sostenitore di un intervento a ogni costo, ha riconosciuto la necessità di un via libera Onu, mentre il cancelliere tedesco, inizialmente restio a qualsiasi rappresaglia, ha riconosciuto che una reazione contro Assad è «imprescindibile».Che Londra sia in piena frenata lo si evince anche dal testo di una mozione che oggi il governo britannico presenterà ai Comuni, mozione in cui non solo non si chiede l’autorizzazione all’attacco, ma si sottolinea anche la necessità di decidere solo dopo aver valutato il rapporto degli ispettori dell’Onu a Damasco. Rapporto che, come annunciato ieri dal segretario dell’Onu Ban Ki-moon, non sarà pronto «prima di quattro giorni». «Diamo un’opportunità alla pace e alla diplomazia», ha chiesto Ban, ricordando che, sebbene «i responsabili dell’attacco dovranno risponderne», è «essenziale che i fatti vengano accertati». Una visione condivisa anche dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen che ha espresso il suo «pieno sostegno» all’inchiesta Onu, pur definendo «inevitabile» una reazione. Paradossalmente, insomma, tutti si sono allineati, anche se con motivazioni diverse, alle posizioni manifestate dalla Russia: «Discutere di un qualche tipo di reazione senza attendere che gli ispettori pubblichino i loro rapporto è come minimo inopportuno», aveva dichiarato il vice-ministro degli Esteri russo, Vladimir Titov. Quanto al regime iraniano, è passato al contrattacco, accusando Usa, Gran Bretagna e Francia di «aver aiutato i terroristi che usano le armi chimiche in Siria», e “prevedendo”, come ha sottolineato il vice-ministro degli Esteri Faisal Maqdad, che «presto tali armi saranno usate contro la popolazione in Europa».Secondo il Dipartimento di Stato, a questo punto un’azione congiunta contro Assad sotto l’ombrello Onu è improbabile: «Nessuna chance», hanno commentato. Pur ribadendo che, però, non può essere consentito al regime siriano di nascondersi dietro la Russia all’Onu. Ma quale sia l’opzione resta un mistero. «Non è stata ancora presa alcuna decisione».Resta il fatto che l’uso presunto di gas nervino, che mercoledì scorso sarebbe costato la vita a 1300 persone – e sul quale la Cia avrebbe ricevuto informazioni dai servizi di spionaggio israeliani – ha impresso una svolta alla posizione dell’Amministrazione Usa. E, in vista della presentazione di un rapporto dell’intelligence americana sulla responsabilità di Assad, Obama ha già intrapreso una campagna mediatica per ottenere il sostegno interno.