Molti arrivano a piedi, altri – i più fortunati – su auto scassate. Non tutti poi riescono ad attraversare. Le autorità turche sono costrette a dare la precedenza a donne e bambini. Il flusso diventa ogni ora più forte, difficile accogliere tutti. Nei quattro campi allestiti ad Hatay ci sono – secondo dati ufficiali – già 8.538 persone, anche se altre fonti citate da al-Jazeera parlano di oltre 10mila. E nuove continuano ad aggiungersene. Gli agenti di frontiera devono per forza dividerli in scaglioni: prima i feriti, i minori, i più fragili. Gli uomini, invece, aspettano “il turno” per passare nel villaggio di al-Hasaniya. «Sono affamati: mangiano frutta direttamente dagli alberi», ha raccontato un testimone. ce all’uomo, spari e assalti vanno ormai avanti da lunedì, dicono i Comitati locali anti-Assad. I soldati setacciano l’intera “zona calda” alla ricerca di chiunque sia sospettato di simpatizzare per i rivoltosi, dicono. Sono state denunciate incursioni nei villaggi arroccati sulle montagne intorno a Josr al-Shughun. Jabal Zawie, Ahtam, Uram al-Joz, Jebel al-Zawiya sarebbero stati messi a ferro e fuoco. Ariha sarebbe stata isolata dai tank e i telefoni sarebbero stati tagliati. Almeno dieci civili – sempre secondo gli attivisti – sono stati uccisi ieri dai militari ad Abu Kamal. A choccare sono poi le testimonianze dei profughi. Alcuni parlano di razzie da parte dell’esercito: case bruciate, animali sgozzati, famiglie massacrate o scomparse. Un giovane – che, però. ha detto di non averlo visto di persona – ha detto che a due donne, ricoverate ora in Turchia, sarebbero stati amputati i seni. Per indagare sugli abusi della repressione, ad Hatay è arrivata una delegazione dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur). Secondo le associazioni per i diritti umani, oltre 1.200 persone sono state uccise dagli uomini di Assad da quando sono cominciate le proteste, a metà marzo, mentre gli arrestati sarebbero almeno 10mila. Tanto che, il premier Erdogan ha chiesto ad Assad – quest’ultimo gli aveva telefonato per congratularsi della sua rielezione – di fermare le violenze. La crisi siriana preoccupa la comunità internazionale. Mentre all’Onu le potenze europee e gli Stati Uniti cercano di far approvare una risoluzione di condanna, si è aperto ora anche il fronte iraniano. Teheran ha espresso solidarietà per tutte le rivolte arabe, tranne quella siriana. Anzi, il ministro degli Esteri iraniano Mehmanparast ha avvallato la teoria di un «complotto sionista» contro Damasco. E ha ribadito che si tratta di «una questione interna». Una posizione inaccettabile, per il segretario di Stato Usa Clinton. «L’Iran appoggia gli attacchi brutali del regime di Assad contro i manifestanti pacifici», ha detto. E il ministro italiano Frattini ha chiesto all’Onu si esprimersi con voce chiara contro Damasco.