Egitto. Atrocità dei jihadisti nel Sinai. Al-Sisi: «Task force per proteggere i copti»
Un cristiano copto fuggito dal Sinai arriva con i suoi beni nella chiesa evangelica di Ismailia (Ansa)
Mentre peggiora di ora in ora lo scenario di guerra che vede protagonisti, nella penisola del Sinai, gli islamisti armati del Daesh e le forze di sicurezza egiziane, il Cairo vara un piano straordinario di interventi e mette a punto una task force. Sullo sfondo il sostegno, politico ed economico, degli Stati Uniti d’America.
Bruciato vivo un giovane musulmano
Ecco gli ultimi, tragici avvenimenti. Fonti locali egiziane hanno riferito ieri che un giovane musulmano, di nome Ahmad Hamed, è stato «bruciato vivo» da jihadisti del Daesh «a Rafah», località egiziana a cavallo del confine con la Striscia di Gaza. Testimoni oculari hanno detto che all’uomo, inoltre, «sono stati cavati gli occhi ». Il brutale omicidio giunge dopo una lista dell’orrore di assassini – sette nelle ultime tre settimane quelli resi noti dalla stampa mediante non precisate «fonti della polizia» – che hanno preso di mira cittadini cristiani nella medesima area geografica, il governatorato del Sinai settentrionale. I cristiani rappresentano circa il 13% della popolazione egiziana, calcolata in 100 milioni di persone; in massima parte, si tratta di copti ortodossi.
Il giovane musulmano, secondo una prima ricostruzione, sarebbe stato ucciso dagli estremisti con l’accusa di essere un collaboratore delle autorità nella lotta contro i seguaci di Abu Bakr el-Baghdadi. Un tragico copione che purtroppo non rappresenta una novità: una ventina, fra il 2013 e il 2014, gli uomini musulmani decapitati nel Sinai.
«Velo integrale pena la morte»
Quanto alle donne, la tv al-Arabiya riferisce dell’ordine impartito dai Daesh alle insegnanti di Rafah e dintorni (non è specificato se cristiane o musulmane): il velo integrale è obbligatorio, pena la morte.
L'esodo dei cristiani
Intanto, decine di famiglie cristiane sono in fuga dal Nord del Sinai, in particolare da el-Arish (50 km da Rafah), centro abitato in cui il Daesh parrebbe avere il controllo.
Alla recrudescenza degli attacchi contro i copti ha fatto da detonatore, secondo le autorità, un video, diffuso una settimana fa dagli jihadisti con il preciso scopo di incitare simpatizzanti e seguaci a uccidere «gli infedeli», soprattutto i cristiani, in quanto considerati alleati dell’Occidente nella guerra all’Islam.
Si muove il presidente al-Sisi
La situazione è a tal punto drammatica, nonostante tre anni e mezzo di campagna militare anti-islamista proprio nel Sinai, che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha convocato una riunione d’urgenza con il primo ministro, Sherif Ismail, e i titolari di Difesa, Esteri, Interno, Giustizia e Finanze, nonché il governatore delle Banca centrale, per ordinare la massima accoglienza e assistenza alle famiglie allontanatesi da el-Arish, oltre a disporre l’intensificazione delle operazioni anti-terrorismo nel Nord del Sinai (500 gli jihadisti uccisi da settembre a oggi secondo il portavoce dell’Esercito). Il premier ha quindi reso noto di aver formato una «task force», fatto del tutto inedito, per gestire l’emergenza delle famiglie copte. Ed ecco alcuni numeri ufficiali: sono 118, secondo il ministero degli Affari parlamentari, Omar Marawan, le famiglie partite da el-Arish e trasferitesi in quattro governatorati: 96 a Ismailiya, otto a Qaliubiya, dodici a Assiout e due al Cairo. Solidarietà ai copti è stata espressa anche dalla chiesa anglicana d’Egitto.
Il sostegno degli Usa
In questo frangente, gli Stati Uniti hanno manifestato la volontà di riprendere la grande esercitazione militare con l’Egitto nota come Bright Star, cancellata dall’Amministrazione di Barack Obama a seguito dell’uccisione di centinaia di civili durante le proteste di piazza contro la destituzione del presidente Mohamed Morsi (agosto 2013). «È mio obiettivo riavviare l’esercitazione e cercare di ristabilirla come un’altra parte cruciale dei nostri rapporti militari», ha dichiarato il generale americano Joseph Votel, a capo del Comando centrale statunitense (Cent-Com), in un’intervista a una tv egiziana riportata dal New York Times. Votel ha incontrato domenica al Cairo il presidente al-Sisi, atteso a Washington in marzo dal presidente Donald Trump.
Ogni anno, l’Egitto riceve dagli Usa circa 1,3 miliardi di dollari di aiuti. Alla prossimità statunitense fa eco anche l’accordo fra Egitto e Gran Bretagna per un prestito di garanzia da 150 milioni di dollari, insieme a un rafforzamento degli scambi commerciali bilaterali. La garanzia fa parte dei sei miliardi di dollari di fondi bilaterali necessari all’Egitto per accedere a un prestito di 12 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale.