Dopo la strage di Parigi. Il giudice Salvini: «Dentro una guerra a bassa intensità»
«Forse, senza aver paura delle parole, più che di semplice terrorismo, che è solo uno dei mezzi, bisogna ormai parlare di “guerra a bassa intensità” che dalla Siria, tramite altri caposaldi, come Libia e Nigeria, tenta di controllare territori e di espandersi in tutti i Continenti». È il nuovo scenario secondo Guido Salvini, giudice a Cremona dopo molte inchieste a Milano sul terrorismo italiano e internazionale. «Da allora – avverte – la situazione è molto cambiata. Al-Qaeda compiva attentati ma non aveva uno “Stato”, solo remoti santuari in Afghanistan in cui rifugiarsi». Un vero “salto di qualità” di cui è figlia anche la strage a Parigi. «È inutile negare che l’azione ha avuto “successo” perché sacrificando solo tre “combattenti” è stato colpito un obiettivo essenziale, in quanto per il fondamentalismo islamico limitare la libertà di espressione del nostro mondo, in pratica funzionare, come scriveva George Orwell da “polizia del pensiero”, e rendere intoccabili i propri simboli è una strategia di conquista fondamentale». Un preoccupante mutamento di strategia che riguarda anche l’Italia. «Dopo gli attentati delle Torri Gemelle, soprattutto nel triangolo Milano-Brescia-Cremona, si erano insediati gruppi anche consistenti di maghrebini che non intendevano colpire direttamente obiettivi in Italia ma utilizzavano il nostro Paese come base organizzativa e punto di transito. Le principali attività erano mandare combattenti e denaro in Iraq, nascondere i latitanti, procurare documenti falsi, fare reclutamento soprattutto nelle moschee». Ma ora i rischi sono molto più alti. «È inutile nascondere che vi saranno altri attacchi, forse multipli e contemporanei in più Paesi e non si può prevedere sino a quando l’Italia rimarrà ancora un punto di passaggio e non diventerà invece direttamente un obiettivo, anche per i suoi numerosi simboli cristiani».
Proprio per questo il magistrato ritiene «necessario che la Procura nazionale antimafia debba occuparsi anche di terrorismo, coordinando il lavoro delle Procure». Parlando della legislazione, Salvini sostiene che «l’Italia ha buone leggi. Nel 2005, subito dopo l’attentato al metrò di Londra, è stata perfezionata la norma sulle associazioni terroriste con finalità internazionali. Un gruppo radicato in Italia può da allora essere perseguito anche se ha solo obiettivi collocati all’estero, si propone cioè di agire contro un altro Paese o un’istituzione internazionale. Questa ha contribuito a sradicare le cellule presenti in Lombardia grazie anche all’ottimo lavoro della magistratura, delle forze di polizia e dei Servizi segreti». E qui il giudice fa una critica. «Di questi ultimi si parla solo quando fanno qualcosa di criticabile o sbagliato, ma quando ottengono buoni risultati sul piano della prevenzione o ottengono la liberazione di ostaggi all’estero, il loro lavoro rimane sconosciuto». Qualche aggiustamento però servirebbe. «Rimane un po’ un vuoto, come ha ricordato anche il ministro Alfano, sul problema dell’arruolamento dei combattenti all’estero, i cosiddetti “foreign fighters”. La norma del 2005 punisce gli arruolatori, ad esempio via Internet o nelle moschee, ma non i singoli arruolati che partono da soli verso le zone governate dall’Is». Cosa fare? «Si può pensare ad una norma specifica che si ispiri ad una che già esiste nel Codice penale: l’articolo 242 che punisce, addirittura con l’ergastolo, il cittadino, e qualcuno di loro è italiano, che presta servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano. Ormai quello dell’Is, anche se non riconosciuto, si presenta come tale, ed è in guerra di fatto anche contro l’Italia, perché è in guerra con tutta la comunità internazionale. Si dovrebbe quindi punire l’italiano che si rechi a combattere in Siria in modo da far comprendere che una decisione simile è una scelta senza ritorno».