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Russia. Mille giorni di guerra: quei piccoli gesti di dissenso che impauriscono Putin

Raffaella Chiodo Karpinsky martedì 19 novembre 2024

Una manifestazione contro l'invasione russa dell'Ucraina a Berlino

Dopo mille giorni la vita di chi in Russia si oppone alla logica della guerra è sempre più dura e a rischio. Eppure sono tanti quelli che continuano a resistere. Ognuno a modo suo esprime il dissenso. Chi pubblicamente andando incontro alle note conseguenze e chi nelle relazioni più strette imparando a schivare le delazioni che portano a perdere il lavoro, il conto in banca e alla gogna. Agenti stranieri e traditori della patria.

Cresce la lista di chi viene arrestato, riceve condanne da due a vent’anni anni di carcere. Negli ultimi mesi è evidente – soprattutto dallo storico scambio di prigionieri e il rilascio di importanti figure politiche – il disegno che mira a dividere il fronte dell’opposizione. In questo senso la scelta di espellere dal Paese chi dal carcere esercitava un ruolo di troppo richiamo. È il caso di Vladimir Kara Murza e Ilya Yashin. Vale anche per Oleg Orlov, leader di Memorial, premio Nobel per la pace e per l’impatto della sua resistenza civile durante il processo e le conferenze stampa davanti al tribunale o per le “ultime parole” pronunciate dagli imputati meno noti prima della sentenza. Attivisti, artisti, medici o studenti troppo fastidiosi.

Mettere in salvo le loro vite era la priorità e rispondeva all’appello dell’altro Premio Nobel, Dmitrij Muratov. Ma il regime sapeva che avrebbe favorito l’acuirsi della divisione tra chi è dentro e chi è fuori del Paese. Tra chi è contro la guerra, sostenendo la necessità di sconfiggere sul campo Putin, e chi è contro la guerra ma pur opponendosi a Putin dà priorità assoluta al cessate il fuoco mettendo fine al bagno di sangue di civili e soldati sui due fronti.

È questo il crocevia drammatico, il cuore dello scontro tra la diaspora e gli “interni” che restano nel Paese. Un’ulteriore impennata nella divisione è arrivata con la contro-invasione ucraina nel Kursk e i droni che hanno raggiunto zone del Paese anche ben lontane dal confine. Le immagini delle distruzioni su siti e sui social delle istituzioni locali, regionali e nazionali e sui media sulle conseguenze ha il suo effetto. «Che status abbiamo?», chiede una signora al sindaco e al presidente. La gente alle sue spalle grida: «Ditelo che è una guerra! Cos’altro è se le nostre case sono rase al suolo dalle forze che si combattono?».

Voci che rimbalzano tra gli account indipendenti, ma non solo su questi, riportando la guerra nelle cucine e sui telefonini di tutto il Paese. Serve a poco che la propaganda le presenti come distruzioni provocate dal nemico, perché sono la prova che di guerra si tratta. I video che mostrano il prima e il dopo del passaggio dei soldati, denunciando gli sciacallaggi, fanno il resto. Di ieri l’appello di cittadini del villaggio di Olgovka, rivolto a Putin: «Siamo all’inferno da tre mesi. A chi dovremmo rivolgerci, dove possiamo trovare la salvezza? Vi chiediamo di porre fine a questa dannata guerra, che ha causato molte vittime innocenti. Vogliamo che i nostri figli vedano un cielo sereno e non debbano sentire il segnale di pericolo missilistico. Esamina questa situazione e ascolta i residenti di confine. Non è di nostra spontanea volontà che sopportiamo tutto questo». Intorno a questo triste anniversario continua a farsi sentire la voce di chi fa appello per il cessate il fuoco e per negoziati per mettere fine al bagno di sangue.

Tra questi Lev Schlosberg, giornalista, storico ed esponente di Yabloko nella città di Pskov è sotto attacco perché chi vuole la pace, e l’immediata fine del massacro, e non la sconfitta armata, è di fatto avversato trasversalmente. Di questi giorni l'appello di Muratov per l'apertura di un corridoio umanitario per gli abitanti di Sudzha a 9 km dal confine con l’Ucraina. Stride con gli slogan della propaganda: «È tutto sotto controllo», «Non c’è nulla di cui preoccuparsi» o il mantra: «Noi non abbandoniamo i nostri!», che in genere è riferito ai soldati. Muratov chiede «perché i nostri civili di Sudzha vengono invece abbandonati? Non sono nostri anche loro?». Sono tre mesi che proseguono gli scontri armati tra l’esercito ucraino e quello della federazione russa e ci sono «centinaia e centinaia di cittadini in trappola».

L’appello è rivolto alla Commissione dell’Onu per i diritti umani, al difensore civico russo Tatyana Moskalkova e al presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa. «Almeno un migliaio di civili rimangono nella regione di confine di Kursk. La maggior parte di loro sono anziani, famiglie con bambini e persone gravemente malate che non hanno accesso ai medicinali necessari». «L’unica garanzia per salvare i civili è creare un corridoio umanitario. Vi chiedo di aiutarci con la sua immediata organizzazione. Entrambe le parti in conflitto devono garantire l’evacuazione sicura dei civili, soprattutto anziani e bambini, in conformità con la Convenzione di Ginevra. Annunciate questa evacuazione con le risorse del Ministero russo per le emergenze e organizzatela subito».