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IRAQ. Baghdad ripiomba nel terrore: 127 morti

Luca Miele martedì 8 dicembre 2009
Chi credeva che la violenza omicida fosse stata espulsa dalla scena irachena – e assicurate le condizioni di sicurezza minime per la vita democratica del Paese – ha subito ieri l’ennesima tragica smentita. Le stragi rioccupano lo spazio pubblico iracheno, “oscurando” anche l’annuncio della data – il sette marzo – delle nuove elezioni politiche, dopo il tormentato (e in parte irrisolto) iter della legge elettorale. «C’è la mano di al-Qaeda», ha detto il premier iracheno Maliki, accusando ancora una volta «Paesi stranieri» di esser i registi dell’ondata stragista e di colpire con puntuale terrore per distruggere il processo politico. Baghdad è ripiombata in uno scenario da incubo: cinque autobomba, almeno 127 morti, oltre 450 feriti, corpi maciullati e palazzi distrutti, fumo denso e sirene di ambulanze ovunque. La successione degli attentati è stata terribile. La prima esplosione, innescata da un kamikaze, è avvenuta nella parte sud della città nel quartiere Dora, al passaggio di una pattuglia di polizia. Nell’arco di pochi minuti, sono poi avvenute le altre: un’autobomba è esplosa nella zona di Nahda, davanti ad un un edificio del ministero degli Interni; un’altra nei pressi di un ufficio giudiziario, davanti ad una moschea nel quartiere al Qahiria; un’altra ancora nei pressi della storica università al-Mustansiriya, poco distante dall’ingresso del ministero delle Finanze. Solo in questo attentato si parla di almeno 15 morti, tra cui 12 studenti, e 25 altri feriti. Infine, la quinta esplosione è avvenuta nel distretto commerciale della piazza al-Rusafi, nel centro della capitale ed ha falciato anche diverse donne e bambini. Chi è responsabile di questa ennesima ondata di attacchi? Il premier iracheno al-Maliki ha puntato il dito contro «bande di terroristi sostenuti dall’estero e i rimasugli del partito Baath e dei suoi sostenitori». Gli stessi che per anni hanno seminato morte nel Paese: «Sul massacro su cui ci sono le stesse impronte digitali di altri attentati che da molto tempo continuano a spargere il sangue dei nostri innocenti». Scopo di questi attacchi «è di opporsi alle aspirazioni del popolo iracheno e far fallire il percorso democratico», ha detto ancora il premier sottolineando che «il tempismo di queste vigliacche azioni terroriste, dopo che il Parlamento ha superato l’ultimo ostacolo sulla strada delle elezioni, conferma che i nemici dell’Iraq cercano di seminare il caos per minare ogni progresso democratico». Le elezioni, appunto. Un passaggio cruciale che di certo non sarà facile, «punteggiato» inevitabilmente da attacchi e stragi. Lo stesso percorso di avvicinamento – la legge elettorale che dovrà governare l’intero processo – è stato lungo, faticoso, e sempre vicino al collasso. Solo una manciata di giorni fa, è arrivato il “sì” alla legge, dopo l’ennesimo stop voluto da Tareq al-Hashemi, vice-presidente sunnita, che si era rifiutato di firmare il testo per reclamare più seggi per il voto all’estero. Resta irrisolto il nodo di Kirkuk, città nel nord del Paese, al centro di una disputa fra arabi, curdi e turcomanni per le ingenti quantità di petrolio presenti nel sottosuolo. Unanime è stata la condanna della strage di ieri. Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, ha parlato di un attacco «inaccettabile», la Casa Bianca ha condannato «fermamente» la violenza, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha espresso «sgomento e orrore» per l’accaduto.