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Scozia, testa a testa sul voto per la secessione

Paolo M. Alfieri mercoledì 3 settembre 2014
Non siamo ancora all’urlo di «Braveheart». D’altronde, dicono che i sondaggi sono fatti per essere smentiti. E però gli analisti concordano che almeno un merito ce l’hanno, le rilevazioni statistiche, e cioè quello di svelare il «sentiment », la tendenza verso una certa aspettativa politico- economica. Ebbene, nella Scozia che tra quindici giorni andrà al voto per decidere la secessione dal Regno Unito, gli indipendentisti avanzano a grandi falcate verso una finora insperata vittoria. Il Times ieri ha pubblicato in prima pagina un sondaggio YouGov secondo il quale i secessionisti sono al 47%, con gli unionisti al 53%. La rilevazione conferma quella pubblicata nei giorni scorsi da Survation che aveva dato lo stesso risultato: prosegue quindi il trend in rapida crescita del «sì».  È in particolare fra gli elettori laburisti che si sta assistendo a un repentino cambiamento di opinione: i favorevoli alla secessione sono passati dal 18% al 30% in un mese. Su questo avrebbe influito la scarsa prestazione di Alistair Darling, ex ministro del Tesoro laburista e ora leader della campagna per il «no», durante il secondo dibattito tv sull’indipendenza che lo ha visto contrapposto al primo ministro scozzese, Alex Salmond. Ancora una settimana fa i favorevoli alla secessione erano soltanto al 39%, contro il 61% degli unionisti.  Indetto dal governo scozzese dopo un accordo tra Salmond e il premier britannico David Cameron, il referendum porrà agli elettori il seguente quesito: «La Scozia dovrebbe essere uno stato indipendente? ». Cameron ha ammesso di sentirsi «nervoso» in vista del voto. Con Salmond volano le frecciate. Entrambi, ad esempio, affermano che solo la vittoria del loro schieramento garantisca la permanenza della Scozia nell’Ue. «Se la Scozia vota per l’indipendenza – ha detto Cameron – lascia automaticamente l’Unione Europea e dovrà fare la fila per rientrarci ». Di parere opposto Salmond, che critica l’euroscetticismo del governo di Londra, in particolare con la promessa di un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Ue da tenersi nel 2017. «La politica euroscettica di Westminster è profondamente dannosa per la Scozia e potrebbe esserlo ancora di più se venissimo trascinati fuori dall’Ue», è il parere del premier scozzese. I piani di Edimburgo sono quelli di diventare uno Stato membro indipendente dell’Unione. Salmond è sicuro che si tratterà di una «transizione facile» ma altri non la pensano così.  Il fronte anti-indipendenza ha guadagnato da parte sua il sostegno di un’altra celebrity, Paul Mac-Cartney. L’ex Beatle ha firmato a Liverpool la lettera scritta ai primi d’agosto nell’ambito della campagna «Let’s Stay Together» promossa da 200 celebrità, tra cui Mick Jagger, l’astrofisico Stephen Hawking, Helen-Bonham Carter, Michael Douglas e alla quale si sono già unite 50mila persone.  Contro l’indipendenza si sono dichiarati anche i boss dei grandi colossi economici, dalle banche, come la Hsbc, ai gruppi petroliferi come Shell e Bp. Mentre sono soprattutto i piccoli imprenditori a sostenere la secessione, perché credono che Edimburgo sia più vicina di Londra e riesca a difendere meglio i loro interessi. Questione cruciale, poi, quella della sterlina. Londra ha già minacciato: se ci sarà secessione, scordatevi la sterlina. In realtà la Scozia avrebbe facoltà di mantenerla, ma dovrebbe delegare la decisioni più importanti alla Banca centrale d’Inghilterra, cioé ad un Paese straniero. Daremo «nuovi poteri al Parlamento di Edimburgo per aiutare la crescita e la creazione di posti di lavoro », ha promesso nei giorni scorsi Cameron. Parlando poi alla Cbi, la confindustria britannica, il premier ha provato a convincere gli imprenditori che la strada nuova è peggiore di quella vecchia, presentando quella britannica come una economia di opportunità e un mercato di successo. La partita, però, è ora apertissima, con gli indipendentisti determinati nel celebrare un successo storico.