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INTERVISTA. Schulz: «La Ue si giudichi da come tratta poveri e ultimi»

Andrea Lavazza sabato 12 ottobre 2013
Si è detto «toccato» dall’intenso incontro con Francesco ieri mattina in Vaticano e poi si è immerso in una densa giornata italiana. Martin Schulz dal 2012 è presidente dell’Europarlamento e completerà il suo mandato con la fine della legislatura nella primavera prossima. Nel futuro del 57enne esponente socialdemocratico tedesco, dalla lunga carriera comunitaria (con un picco di notorietà nel 2003 per lo scontro con Berlusconi) dopo gli esordi nella politica locale, si profila una possibile candidatura alla presidenza della Commissione, soprattutto nel caso in cui il Partito socialista europeo raggiunga la maggioranza nell’Assemblea di Strasburgo.Signor Presidente, ha incontrato Papa Francesco, che dall’inizio del suo Pontificato non ha smesso di richiamare l’attenzione sui poveri e sulle periferie. Anche l’Europa, cuore del mondo ricco, in questi anni di crisi ha i suoi poveri e le sue periferie. Che cosa fanno e possono ancora fare le istituzioni comunitarie per raccogliere l’invito del Papa e aiutare coloro sono in difficoltà economica e sociale: i giovani, i disoccupati, i migranti?Condivido pienamente il richiamo del Papa. L’Europa deve fare della lotta alla povertà, sia all’interno che all’esterno del continente, una delle sue priorità e deve dotarsi degli strumenti necessari per farlo. Siamo il continente più ricco al mondo, ma in questi anni quanti dei nostri cittadini sono scesi sotto la soglia di povertà, quanto si è allargato il divario tra ricchi e poveri? Pensi che soltanto nella prospera Germania, un cittadino su nove vive sotto alla soglia di povertà. L’Europa ha fatto e sta facendo molto attraverso il Fondo sociale europeo, attraverso la piattaforma europea contro la povertà e l’emarginazione, una delle sette iniziative prioritarie della strategia Europa 2020. Nel dibattito sul quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 il Parlamento europeo si è speso per assicurare un livello sufficiente di finanziamento per il Fondo di aiuti europei agli indigenti. Ma neanche questo è sufficiente. L’Europa si rafforza nella governance economica, nelle politiche finanziarie che riguardano banche e mercato unico, ma l’Europa può e deve farsi più sociale, l’Europa deve essere giudicata da come tratta i suoi "ultimi".Spesso l’Europa è dipinta come un’istituzione lontana e insensibile, più un problema che una risorsa per il singoli Paesi. Perché non si riesce a comunicare la giusta immagine positiva dell’Unione Europea?È vero. Io tento di non staccare mai l’orecchio dal terreno: dalle domande, i dubbi, le preoccupazioni, le ansie e le idee dei cittadini europei. L’Europa è sicuramente affetta da un problema di linguaggio: io stesso a volte mi ribello all’uso spropositato di acronimi, sigle e linguaggio – quasi da setta – che utilizza l’Unione europea. Dobbiamo parlare con un linguaggio semplice e dire le cose con la maggior chiarezza possibile. Questo è anche il ruolo della politica. Io voglio tornare a parlare delle cose che stanno davvero a cuore ai cittadini e non soffermarsi su lotte inter-istituzionali.Molti analisti lanciano l’allarme per le prossime elezioni del Parlamento europeo: si prevede alta astensione e un voto crescente a favore dei movimenti euroscettici, come segnalano i sondaggi in Francia. Qual è la sua impressione? Come si può intervenire?È anche una mia preoccupazione e credo che l’allarme lanciato dagli analisti sia fondato. Questi partiti, per quanto diversi tra loro, semplificano i problemi per poi amplificarli. Sono dei partiti che non danno risposte, sono solo in grado di gridare i loro "no" facendo leva sulle paure delle persone: contro l’euro, contro le istituzioni, contro l’Europa, contro gli immigrati, e potrei continuare. Ma qual è la loro ricetta per affrontare i problemi del mondo: la povertà crescente, il riscaldamento globale, il terrorismo, il controllo dei mercati finanziari o i grandi fenomeni migratori? Mi creda: non hanno soluzioni, se non uno pseudo isolazionismo-autarchico, sordo al dialogo. Per questo l’Europa deve affrontare gli euroscettici con un dibattito che sorpassa il sì o il no all’Europa, ma che deve essere centrato su quale Ue vogliamo. La miglior ricetta contro gli euroscettici sono idee buone e realizzabili sul futuro dell’Europa.Gli ultimi anni sono stati definiti di transizione per l’Unione europea, come se ci si fosse rassegnati all’impossibilità di procedere sulla via di una maggiore integrazione. Quali percorsi vede a breve termine? In questi ultimi anni l’Europa ha fatto degli enormi progressi sull’integrazione economica e finanziaria, abbiamo proceduto a una maggiore regolamentazione di tutti quegli attori e quelle dinamiche che sono state alla base della crisi. Dei nuovi strumenti sono stati creati per arginare la crisi e mantenere unito l’euro. Molto è stato fatto, anche se il prezzo pagato da alcuni Paesi e da molte persone è stato molto, troppo, alto. Ma questa accelerazione è avvenuta a volte a discapito di un vero e proprio controllo democratico. Parlo ad esempio dei programmi della troïka, Commissione europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Perché un così debole scrutinio della troïka, o ancora, perché così poco spazio per il parlamentarismo nell’Unione Economica e Monetaria? Una delle maggiori difficoltà interne alla Ue emerge circa una politica estera comune. Come dimostrano molte delle crisi internazionali recenti, nelle quali l’Europa non è riuscita ad avere un ruolo incisivo. Manca una guida forte da Bruxelles e Strasburgo o sono più forti le resistenze nazionali?Questi sono i limiti di una politica estera che è stata e rimane meticolosamente protetta dagli Stati membri. Siamo costretti ad avanzare in ordine sparso senza possibilità di sintesi. Una vera politica estera unitaria dell’Europa avrebbe un enorme potenziale positivo: è sufficiente guardare i casi recenti dove, con la nostra forza d’attrazione, siamo riusciti a far sedere attorno allo stesso tavolo serbi e kosovari, per esempio. Ma troppo spesso il sistema intergovernativo fa dell’Unione una forza subalterna. I nostri partner applicano con triste sistematicità il principio del divide et impera.I Papi che hanno preceduto Francesco hanno sottolineato molte volte l’importanza di riconoscere le radici cristiane dell’Europa. La loro mancata inclusione nei Trattati è stata vissuta come una ferita da parte di molti cristiani. Non pensa che il contributo spirituale e di valori del cristianesimo sia una parte fondamentale della storia europea e della stessa Unione di oggi?Le radici culturali e religiose della nostra Europa sono importantissime, e ovviamente il ruolo di quelle giudaico-cristiane è incontestabile. Anche alla luce di questo, mi sono permesso di invitare papa Francesco all’Europarlamento. Una menzione giuridica nel Trattato avrebbe però avuto un carattere di esclusività, che avrebbe chiuso porte più che aprirne. La nostra Europa, se vuole affrontare le sfide di domani, dev’essere tollerante, inclusiva e guardare al futuro. Questo è il contrario del nichilismo: sono i nostri valori fondamentali.