Il Ppe richiama l’attenzione sui Balcani. Lo fa proprio da Sarajevo, la terra dalla pace fragile che vive una situazione di stallo per la mancata elezione della Camera dei Popoli, dal mese di ottobre priva della rappresentanza croata. Il Paese, come tutta l’area balcanica, può sperare soltanto nella Ue: è questa la conclusione del seminario che si è tenuto ieri nella città bosniaca. Di Balcani, ma anche di minoranze religiose nel mondo e degli ultimi sviluppi tragici in Nord Africa, hanno discusso numerosi statisti che si identificano nel Ppe, coordinati dal ministro degli Esteri Franco Frattini.Un dibattito di poche ore, ma intenso. Vi hanno partecipato, tra gli altri, Bakir Izetbegovic, uno dei tre membri della presidenza della Bosnia Herzegovina, Wilfried Martens, presidente del Ppe, l’ex presidente libanese Amine Gemayel e Gordan Jandrokovic, ministro degli Esteri della Croazia. Da Sarajevo, intanto, un impegno: un meeting internazionale del Ppe dedicato interamente al dialogo tra le tre religioni monoteiste, con la presenza del figlio di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico per le Minoranze pachistano assassinato dai taleban agli inizi di marzo. A Sarajevo i partecipanti al seminario si impegnano dunque a favorire la strada europea per la Bosnia. «Per il Paese e il resto dei Balcani occidentali – dice infatti il ministro Frattini – non vedo alternative all’integrazione nella Ue. Del resto tutti i Paesi della regione balcanica si stanno avvicinando in vario modo all’Europa». Da ultimo, infatti, spicca il caso della Croazia, il cui negoziato di adesione alla Ue è giunto alle battute finali: la procedura dovrebbe concludersi entro il mese di giugno. Anche per la Bosnia, proprio per le ultime difficoltà politiche, occorrono tempi rapidi: «Ci sono le condizioni – dice Frattini – per trovare l’accordo sul nuovo governo, e negli ultimi giorni, se non nelle ultime ore, l’Italia ha partecipato attivamente alla ricerca di un accordo. Si era a un passo dalla soluzione che però è sfumata. Ma continueremo a lavorare». Questa stabilità è la condizione principale per bussare alle porte della Ue, come sottolinea anche Wilfried Martens: «Formare un nuovo governo è una necessità per la Bosnia se vuole mantenere la prospettiva europea. Tutti i Paesi dei Balcani – aggiunge – sono Paesi europei che si stanno confrontando ora su come arrivare alla riconciliazione dopo i drammi della guerra». A Sarajevo è Amine Gemayel a soffermarsi sulla questione delle minoranze religiose, e cita l’esempio del suo Paese: «In Libano – spiega – c’è sempre stato un dialogo permanente tra le religioni e speriamo di mantenere l’armoniosa coesistenza tra le varie fedi. Il nostro è un contributo profondo al dialogo interreligioso a livello universale». Sarà sempre possibile, anche con il governo di Najib Mikati che si ritiene sia sostenuto da Hezbollah? «Sul dialogo – dice Gemayel – abbiamo avuto ottimi risultati, nonostante interferenze straniere nei nostri affari interni. Siamo in grado di mantenere e migliorare questo dialogo di coesistenza armoniosa con l’aiuto di amici che capiscono l’importanza dell’esperienza libanese».L’incontro di Sarajevo si è soffermato anche sulla situazione libica, con Gheddafi bocciato anche nei Balcani. Il leader libico – dicono gli esponenti del Ppe – è il solo ostacolo al dialogo in Libia. «Le opposizioni – sintetizza Frattini – vogliono un sincero dialogo, ma non con chi ha sparato su di loro».