Il reportage. San Francisco, barricate contro il virus e contro Trump
Si moltiplicano anche a San Francisco le azioni di solidarietà nei confronti di quanti sono costretti in casa
Ormai da due settimane San Francisco si è fermata, è una città con il fiato sospeso, che si prepara e guarda a New York sapendo che il peggio sta per arrivare. Ha giocato d’anticipo rispetto al resto del Paese con provvedimenti di contenimento del Covid-19, come la dichiarazione dello stato di emergenza dello scorso 25 febbraio in controtendenza rispetto alle direttive federali, che hanno avuto un’accelerazione, con una cadenza quasi quotidiana. Si è passati dalla graduale cancellazione di eventi e mostre alla richiesta di lavorare da casa nella prima metà del mese di marzo fino alla chiusura delle scuole, e infine all’ordine restrittivo dello shelter-in-place dell’intera Bay Area (stare a casa) di giorno 17. Provvedimento solo due giorni dopo esteso dal governatore della California, Gavin Newsom, all’intero stato. A fine febbraio la sindaca, London Breed, aveva affermato: «Anche se in città non abbiamo nessun caso confermato, il quadro globale sta cambiando velocemente e noi dobbiamo farci trovare pronti». In pochi giorni gli scenari sono cambiati i dati di venerdì indicavano già 279 contagiati e 3 decessi. Una conta sicuramente al ribasso, visto che manca ancora un numero adeguato di test per un controllo capillare.
Durante conferenza stampa di giovedì scorso Breed ha dichiarato che gli ospedali hanno bisogno di 1.500 ventilatori e 5.000 letti per prepararsi alla fase di emergenza, e rivolgendosi al vice presidente Mike Pence e all’amministrazione Trump ha affermato: «Spero che li consegnino al più presto alla nostra città e alle altre nel resto del Paese. Il tempo non può essere sprecato in discorsi che non portano a risultati concreti». La sindaca, democratica, non fa mistero di non approvare l’operato del presidente e della sua amministrazione, tanto da definire «ridicolo» l’annuncio di Trump di volere far tornare il Paese alla normalità entro la domenica di Pasqua. «Perché continuiamo ad ascoltare il presidente? Abbiamo persone che stanno morendo, persone che non riescono nemmeno a fare il tampone, persone infette che non sanno di esserlo che stanno propagando il virus. E si sta parlando già di riaprire tutto. Il motivo per cui stiamo chiudendo a che fare con la salute pubblica. Se non ascoltiamo cosa dicono gli esperti, non so dove andremo a finire».
Intanto il dipartimento di salute pubblica di San Francisco ha assunto 80 nuovi infermieri, ha iniziando a preparare sedi non ospedaliere per l’accoglienza di pazienti, ha ridotto le visite in ospedale per casi non critici, e lavora all’approvvigionamento del materiale sanitario di protezione, ma è chiaro che non è abbastanza. «In pratica abbiamo dovuto aggirare il governo federale per ottenere da altri Paesi i materiali di cui abbiamo bisogno», ha dichiarato con disappunto Breed. «Ci saremmo aspettati che il governo federale gestisse questa emergenza, invece sono le singole città a dovere creare accordi con il settore privato per proteggere i nostri medici e infermieri».
E mentre si attende l’onda di contagi, centinaia di infermieri specializzandi chiedono di potere sostenere chi lavora in prima linea, e crescono le raccolte fondi lanciate dai privati per procurare mascherine e dispositivi di protezione agli ospedali. L’ordine di “shelter-in-place” previsto fino al 7 aprile quasi certamente verrà prolungato, come è già stata prolungata la chiusura delle scuole fino al primo maggio. Adesso l’emergenza nell’emergenza del Covid-19 per la Breed è la gestione delle migliaia di senzatetto che popolano la città, in queste ore la corsa contro il tempo si fa per trovare alloggi e togliere dalla strada migliaia di persone esposte al contagio.