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L'inferno per i bimbi. Salvador, le maras «svuotano» le scuole

LUCIA CAPUZZI domenica 7 agosto 2016

«Ogni mattina è una lotta. Per convincerlo ad andare a scuola, mia madre deve minacciarlo. Prima gli piaceva tanto...». Poi, un giorno, José (il nome è di fantasia), 10 anni, ha notato dei giovani appostati in fondo alla via dove si trova l’istituto primario. Non gli è stato difficile riconoscerli. Chi cresce a Mejicanos, alla periferia di San Salvador, sa identificare a colpo d’occhio i “mareros” a caccia di ragazzini da reclutare. Così si chiamano gli esponenti delle potenti gang criminali – le maras – che dominano interi pezzi di Centroamerica. In particolare del cosiddetto “Triangolo Nord”: El Salvador, Honduras e Guatemala, la regione più violenta al mondo. Nel 2015, nel “pollicino d’America” (nome popolare di El Salvador), grande quanto la Lombardia, sono state assassinate 6.640 persone, 18 al giorno. Nei primi tre mesi del 2016, si è passati a 22 omicidi quotidiani. 

 

Da aprile, in coincidenza con un giro di vite da parte delle autorità e di una tregua tra bande rivali, i numeri si sono ridotti, ma restano sempre allarmanti. Soprattutto per il fatto che le principali vittime sono giovani o giovanissimi. L’America Latina, già dal 2012, è la regione più letale per i minori, con una media annuale di 25.400 under 18 ammazzati. Il macabro record, afferma l’Unicef, spetta, ancora una volta, al piccolo El Salvador, il Paese più letale per i bimbi. Là, l’anno scorso, sono stati uccisi tre piccoli e adolescenti al giorno, un sesto del totale delle vittime. I minori sono “carne da cannone” per le bande, da impiegare come bassa manovalanza criminale e per far numero negli scontri con gli avversari.

 

La mattanza in corso ha spinto, ora, le maras ad intensificare gli arruolamenti, per “sostituire i caduti”, e ad abbassare l’età dei reclutati. Le scuole, dunque, sono diventate a tutti gli effetti “linee del fronte”. Le bande considerano gli istituti – fin da quelli elementari – bacini da cui attingere nuove forze. Con il metodo tradizionale “plata o plomo”, soldi o morte. Il “prescelto” ha solo tre possibilità: accettare, morire o scappare. «Non volevo entrare. Non volevo diventare un sicario. Mi fa paura il sangue», racconta Héctor, 12 anni che, il mese scorso, ha abbandonato l’ultima classe della primaria per sfuggire alle gang. La crescita esponenziale della diserzione scolastica è un effetto collaterale della pressione criminale, come dimostrano i nuovi dati del ministero dell’Istruzione. Nel 2015, 39mila studenti hanno lasciato sedie e banchi. Secondo il sindacato degli insegnanti, gli allievi “persi” sarebbero almeno il triplo: circa 100mila. La ragione ufficiale è il cambio di domicilio.

 

La categoria, apparentemente neutra, nasconde una doppia, drammatica verità. Primo, migliaia e migliaia di famiglie sono costrette a peregrinare da un quartiere all’altro in fuga dalle maras. Queste ultime, ormai, si sono spartite le periferie urbane, dove esercitano un controllo capillare sul territorio e la sua popolazione, sottoposta a un regime di terrore, fatto di estorsione e minacce. Per questo, il numero degli sfollati interni, secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati (Cnr), sfiora quota 290mila. Secondo, spesso i genitori rinunciano a mandare i figli in classe per ridurre il rischio di reclutamento. 

 

O per timore di rappresaglie nel caso la scuola si trovi “dall’altra parte” dell’immaginaria linea che divide il dominio di una mara dall’altra. Il governo di centrosinistra del presidente Salvador Sánchez Cerén, da parte sua, ha cercato di garantire la sicurezza affidando il controllo di 650 istituti ai militari. La gente, però, continua ad avere paura e lasciare i figli a casa. Di frequente, inoltre, le scuole sospendono le lezioni per qualche settimana a causa delle minacce nei confronti di alunni e docenti. Spesso, questi ultimi sono costretti a pagare il “pizzo” ai criminali. «Vorrei tanto continuare gli studi – racconta Ana, 15 anni –. Ma come faccio? A una mia compagna hanno chiesto di diventare la fidanzata di un marero. Lei si è rifiutata. Qualche giorno dopo l’hanno stuprata e accoltellata. Non so se sia sopravvissuta perché da allora i miei hanno smesso di mandarmi in classe. Non volevano che mi accadesse la stessa cosa. Volevo diventare maestra. Le bande hanno infranto il mio sogno».