Il difficile dopoguerra. La violenza dilaga in Colombia: uccisi prete e attivista
Padre Jhony (foto dal sito della diocesi)
Il violento dopoguerra colombiano continua a mietere vittime tra sacerdoti e difensori dei diritti umani. Nel giro di poche ore, sono stati uccisi padre Jhony Ramos e il leader indigeno Jairo Montaño. Il primo, 55 anni, parroco di Gesù Misericordioso, chiesa situata in uno dei quartieri popolari di Villavicencio era molto impegnato nel servizio ai più poveri. Il vescovo, monsignor Oscar Urbina, ha espresso profondo dolore per l’omicidio, di cui le autorità non hanno dato dettagli. Secondo le prime ricostruzioni, però, potrebbe essere stato assassinato durante una rapina.
Padre Jhony è il secondo sacerdote ammazzato in Colombia da gennaio, per un totale di 17 nel mondo. Montaño, invece, 45 anni, è caduto nella guerra invisibile contro il popolo Nasa in atto in Cauca: è il settimo indigeno ucciso in due settimane. I Nasa sono abituati alla violenza: negli oltre cinquant’anni di guerra civile, il Cauca era terra contesa tra esercito, paramilitari e guerriglieri delle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc). Stretti nella morsa della violenza, gli indios hanno avuto il coraggio di rifiutare ogni forma di collaborazione con i gruppi armati legali e illegali. Scelta – maturata grazie all’insegnamento del primo sacerdote indio colombiano, padre Álvaro Alcué – che mantengono anche ora, nonostante il conflitto sia formalmente finito con gli accordi del 24 novembre 2016. Al posto della guerriglia smobilitata, bande armate vecchie e nuove stanno cercando di “conquistare” il Cauca. In gioco c’è il controllo dei campi di coca. O, meglio, della terra che i gruppi armati vorrebbero trasformare in piantagioni di droga, dato il clima favorevole.
Non a caso, gli indigeni hanno ricevuto minacce anche dal cartello messicano di Sinaloa. «Lo Stato non fa niente per difenderci. Anzi, spesso, i gruppi paramilitari godono di appoggi e complicità nelle forze armate», denuncia il Consiglio regionale indigeno del Cauca. Quest’ultimo ha dichiarato l’emergenza umanitaria nel territorio: «Ci stanno sterminando. È un genocidio». Gli omicidi, inoltre, si concentrano sui leader e gli attivisti del movimento indigeno. Da gennaio ad agosto ne sono stati uccisi 36, per un totale di 161 in meno di tre anni.