I Paesi ex comunisti dell’Europa Orientale risentono in modo particolarmente grave della crisi finanziaria mondiale. E non c’è da stupirsi: dopo oltre 40 anni di regime totalitario la loro situazione economica rimane particolarmente debole ed essi non hanno ancora fatto in tempo a superare le difficoltà della transizione incominciata alla fine degli anni 80 del secolo scorso. E la Russia? In questo Paese il comunismo è durato quasi 80 anni, durante i quali le condizioni di vita della sua popolazione erano peggiori di quella dei satelliti sovietici in Europa dell’Est. Anche in Russia la situazione si presenta fosca e, trattandosi comunque di una grande potenza, una situazione simile a quella lettone (dove a metà gennaio si sono svolte dimostrazioni contro la politica anticrisi del governo, degenerate in scontri con la polizia che hanno provocato 40 feriti) potrebbe avere gravi conseguenze anche sugli assetti internazionali. In ogni caso, il governo di Mosca si prepara alla possibilità di insurrezioni di massa e ai modi di reprimerle. I segnali preoccupanti sono numerosi. Pochi giorni fa il sito Internet del ministero dell’Interno, guidato da Rashid Nurgaliev, ha pubblicato l’'ordine N° 800' con il quale la polizia ('milizia') viene autorizzata a sparare ad altezza d’uomo nel caso che si trovi ad affrontare dimostrazioni di protesta. Il numero dei poliziotti e delle cosiddette 'truppe interne' ha per la prima volta superato il numero di militari dell’esercito, arrivando a 2,5 milioni di uomini. Un paio di settimane fa nella regione di Nizhnij Novgorod si sono svolte grandi manovre antisommossa della polizia e uno stabilimento specializzato di Kurgan ha ricevuto una massiccia commessa statale per la produzione di blindati con idranti per lo scioglimento di dimostrazioni. Gennadij Gudkov, membro della commissione parlamentare per la sicurezza, afferma: «Una parte dei funzionari federali si illude che si possa difendersi dalle conseguenza della crisi ricorrendo alla forza. Ma è un’utopia. Nella storia vi sono non pochi esempi in cui la militarizzazione dello Stato non ha fatto altro che aumentare il pericolo di scontri armati». Si hanno già alcune avvisaglie: scarseggiano i medicinali, in gran parte importati a caro prezzo. A Klintsy, nella regione di Brjansk, 300 persone hanno preso d’assalto la locale farmacia. Mentre il presidente Dmitrij Medvedev e il premier Vladimir Putin avvertono che la crisi sarà ancora lunga, incominciano a manifestarsi i segni di un forte disagio sociale. I prezzi degli alimentari sono aumentati del 6,4% e l’inflazione, secondo Arkadij Dvorkovich, consigliere economico di Medvedev, potrà raggiungere il 15%. I già miseri redditi, ha detto il leader sindacale Mikhail Shmakov, hanno perso in media il 20% del loro potere d’acquisto.C’è chi pensa che qualcuno potrebbe approfittare di questo stato di cose per organizzare un colpo di Stato. Un politologo vicino a Putin, Gleb Pavlovskij, ha detto al Moskovskij Komsomolets che «un ristretto gruppo di persone», fra cui «grandi uomini d’affari, uomini di vertice del potere federale, certi ambienti della capitale e alcuni governatori », insomma, «uomini nei corridoi del potere», potrebbe coltivare intenzioni golpiste mirate a eliminare Putin. Intanto cresce la disoccupazione. In gennaio circa 300mila persone hanno perduto il lavoro e secondo Maksim Topilin, viceministro della Sanità e dello Sviluppo sociale, in autunno il numero dei disoccupati passerà dagli attuali 5,8 a 7 milioni. A sua volta il leader comunista Gennadij Zjuganov osserva: «La pratica mondiale mostra che l’aumento dell’1% della disoccupazione provoca un aumento della criminalità del 5%». Gli dà sostanzialmente ragione Jurij Sjomin, procuratore di Mosca, secondo il quale «uno dei più notevoli effetti negativi della crisi può essere una modifica della dinamica della criminalità». Ed infatti, conferma lo stesso Sjomin, in gennaio, nella capitale, il numero degli omicidi è aumentato del 16% e vi è stato il 44% in più di gravi delitti contro la persona. In salita anche il numero dei suicidi dovuti alle preoccupazione per le crisi: 100 casi in due mesi, scrive il Trud. Particolarmente grave è la situazione delle cosiddette monogorodà (letteralmente: 'monocittà'), cioè quei centri abitati sorti intorno ad un’unica fabbrica e il cui sostentamento dipende da essa. Il fenomeno era tipico dell’epoca sovietica, ma rimane vivo ancora oggi. In Russia esistono 460 città e villaggi di questo tipo con 25 milioni di abitanti che producono il 40% del prodotto lordo regionale. Ad esempio dall’EvrazGroup (dell’oligarca Akleksandr Abramovich, metallurgia) dipendono otto città e villaggi con 696mila residenti. In uno di questi villaggi, Mundybash, 5mila abitanti, nella regione di Kemerovo (Siberia meridiona-le), gli operai della locale fabbrica di alluminio hanno appreso dopo Capodanno che rimarranno senza lavoro. Galina Tolmaciova, dirigente sindacale locale, descrive la drammatica situazione della città: «Se chiudono la fabbrica – ha detto –, ne soffriranno anche gli asili, le scuole, le mense, i negozi. Uno dopo l’altro tutti rimarranno disoccupati ». Molte monogorodà sono sorte attorno a industrie petrolifere o del gas, largamente esportati. Alla caduta del prezzo di queste fonti di energia sono diminuiti anche gli introiti delle aziende e dello Stato, con una riduzione di mezzi per tutti. Medvedev e Putin si erano impegnati in una serie di ambiziosi 'progetti nazionali' che dovevano riguardare la 'casa accessibile', la riforma della sanità e dell’assistenza sociale. Ora la realizzazione di gran parte di questi progetti è stata rallentata o bloccata per mancanza di fondi. In particolare, il ministro dello Sviluppo regionale Viktor Basargin ha dovuto riconoscere che il 'piano casa', uno dei più importanti, è fallito per mancanza di finanziamento.