La crisi. Rohingya, accordo tra Bangladesh e Mynamar per il rimpatrio dei profughi
Rohingya lasciano il villaggio di Thet Kabyin (Ansa)
Il Myanmar e il Bangladesh hanno siglato un memorandum di intesa per il rientro in patria di centinaia di migliaia di rifugiati rohingya, fuggiti per sfuggire alle violenze dell'esercito birmano. «Siamo pronti a riprenderli il prima possibile dopo che il Bangladesh ci ha restituito i moduli», ha detto Myint Kyaing, un segretario permanente al ministero del Lavoro, dell'Immigrazione e della Popolazione della ex Birmania, facendo riferimento ai moduli di registrazione che i profughi rohingya devono completare con i dettagli personali prima del rimpatrio. Un'accelerazione imprevista dopo che la scorsa settimana il potente capo dell'esercito di Myanmar, Min Aung Hlaing, aveva fatto sapere che è «impossibile accettare il numero
di persone proposto dal Bangladesh». La stessa Aung San Suu Kyi ha incontrato oggi il ministro degli Esteri del Bangladesh, Abul Hassan Mahmood. per «discutere degli sviluppi della cooperazione
tra i due paesi, di accettare le persone che hanno lasciato i luoghi di Rakhine e della cpllaborazione in corso tra i due paesi». Oltre 620mila persone sono fuggite verso il Bangladesh da agosto e, per lo più, vivono in condizioni molto difficili in campi profughi.
Si tratta di una prima misura dopo che la crisi ha subito un'internazionalizzazione negli ultimi giorni. Il segretario di Stato Usa Rex Tillerson ha condannato mercoledì la persecuzione della minoranza Rohingya in Birmania come «pulizia etnica». In una dichiarazione, Tillerson ha accusato l'esercito birmano di aver causato «tremende sofferenze ai musulmani Rohingya, costringendo centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini a fuggire dalle loro case». «Dopo un'attenta analisi dei fatti disponibili - ha precisato Tillerson - è chiaro che la situazione nello stato del Rakhine costituisce una pulizia etnica contro i Rohingya». La presa di posizione Usa rischia di raffreddare e di molto i rapporti con il Myanmar, rasserenatisi dopo la vittoria di Aung San Suu Kyi nel 2015. Una presa di distanza che la Cina ha subito deciso di sfruttare, intensificando i rapporti militari con il Paese.