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Il racconto. Dopo il ciclone Idai, "in Mozambico ora il verbo quotidiano è ricostruire"

Redazione esteri martedì 16 luglio 2019
Sono passati più di quattro mesi da quando il ciclone Idai si è abbattuto sull'Africa centro-orientale, causando la morte di circa mille persone e l'allagamento di interi villaggi per lo straripamento dei fiumi. In Mozambico, le più colpite
sono state le province di Sofala e di Capo Delgado, dove da molti anni è impegnata l'organizzazione italiana Medici con l’Africa Cuamm. Il direttore, don Dante Carraro, è tornato in quelle zone per verificare la situazione.


Provincia di SOFALA, città di Beira

Dal 1992 continua ininterrotto il nostro impegno in quest'area. Molto è stato fatto e molto resta da fare. Il cuore si stringe in una morsa ogni volta che un bambino muore e sai che altrove poteva non essere così.

Il verbo quotidiano è "ricostruire". Le infrastrutture prima di tutto: la neonatologia (berçario) dell'ospedale, la facoltà di Scienze della Salute dell'Università Cattolica, i centri sanitari, le baracche della periferia.

“Ricostruire” poi il sistema sanitario a partire dagli elementi basilari del suo funzionamento: cinque ambulanze nuove che collegano le comunità con i centri sanitari e l'ospedale; oltre 300 attivisti sanitari che educano formano e assistono mamme e famiglie.

“Ricostruire” infine la fiducia dei cuori e delle volontà, fiaccate e appesantite dalla distruzione di quanto fatto in tanti anni.

Provincia di CAPO DEL GADO, città di Pemba

Siamo arrivati nella tarda mattinata di un normale giorno di lavoro. Linde, un centro sanitario come molti altri, in Mozambico. In mezzo al nulla, due ore di asfalto dal capoluogo Pemba e un'altra di pista rossa fino a “quell'ultimo miglio” di cui tante volte parliamo. Stiamo costruendo una nuova maternità con due piccole sale parto per educare e assistere le mamme, prima e durante il parto. A dieci metri c'è un piccolo centro sanitario.

All'interno, una saletta per le visite, minuscola ma ordinata e pulita: i barattoli dei farmaci in fila sulla scrivania, le carte sanitarie (gialle) dei pazienti riposte con cura, il registro degli ammalati ben compilato.

Joseph, il tecnico di medicina, è al suo posto di lavoro, gentile e serio, sopra la camicia indossa il camice, come si addice. Una meraviglia!!

L'Africa e in generale questo nostro mondo non hanno bisogno di eroi, salvatori del mondo, desiderosi di mettersi in mostra. Ha piuttosto urgenza e necessità di persone normali e quotidiane, irremovibili e ostinate nel fare il proprio dovere e nel farlo bene. La sera, sulla strada del ritorno, il cuore era lieto e ancor più determinato a non mollare. Viene alla mente quanto accade nel nostro Paese in questi giorni: la barbarie del linguaggio e degli atteggiamenti verso i poveri, vicini e lontani, e verso quelli che li aiutano! La risposta più vera sono parole e fatti di fraternità, capaci di futuro.

In questa missione ci ha accompagnato un amico carissimo, da anni al nostro fianco: Niccolò Fabi. A lui il nostro GRAZIE più vero per la strada fatta insieme fin qui e per quella che verrà. E GRAZIE a tutti voi che continuate a darci fiducia e a camminare con noi.