Coronavirus. La ricetta di "Cape Town together": solidarietà e non elemosina
Distribuzione di cibo ai bambini sudafricani
Solidarietà e non elemosina. Questo è il motto su cui si basa il «Cape Town together» (Ctt), un nuovo modello di organizzarsi tra quartieri ricchi e poveri per combattere appunto insieme la pandemia di coronavirus nella città sudafricana del Capo. Una realtà che sta cambiando per sempre il volto di un Paese noto per i suoi marcati contrasti sociali. «Il governo ha completamente fallito nel nutrire i più poveri durante l'isolamento», afferma Jeremy Seekings, direttore del Centro per la ricerca scientifica sociale a Città del Capo.
«Circa 9 milioni di bambini non hanno più usufruito del pasto, a volte l'unico della giornata, donato dalle mense delle scuole. La società civile si è quindi organizzata autonomamente – continua a spiegare Seekings –, cercando di sopperire alle mancanze da parte delle autorità. Ma c'è ancora molto da fare». Il Ctt sta aiutando i cittadini a superare la crisi attraverso la distribuzione di beni di prima necessità nelle baraccopoli, lo scambio di informazioni, e diversi modi di assistenza attraverso una Rete per l'azione comunitaria (Can).
In un Paese dove le ferite del sistema dell'apartheid rimangono ancora profonde, tale iniziativa sta aiutando a creare legami tra bianchi e neri, ricchi e poveri, che da decenni sono abituati a vivere separatamente. «Molte persone benestanti non erano mai entrate in una una delle varie baraccopoli della città – racconta ad Avvenire la ricercatrice italiana, Giorgia Niccolò, arrivata a Cape Town poco prima della crisi –. Questo modello di solidarietà sociale è talmente interessante e efficace che altre città sudafricane lo stanno adottando».
Seppur in maniera lenta e ridotta, il continente africano continua a registrare casi di contagio e decessi dovuti al Covid-19. Secondo il Centro africano per la prevenzione delle malattie (Cdc) sono «oltre 275mila i contagiati e 7,400 i morti», ma circa «125mila africani» sono anche guariti dal virus. In Sudafrica, il Paese più colpito, sono 87mila i contagi e 1.800 i morti. Le restrizioni imposte in questi mesi hanno inoltre provocato gravi sofferenze, non solo a livello economico, ma legate anche alle violenze domestiche. «Il Sudafrica, con 7 donne e tre bambini uccisi ogni giorno, ha il più alto tasso al mondo di violenza tra le mura di casa – affermano gli esperti –. A causa dell'isolamento le vittime non possono più scappare dai loro carnefici».
Grazie all'iniziativa Ctt, molte delle informazioni sulla pandemia vengono scambiate attraverso canali come Whatsapp o Facebook. «La mancanza di cibo ha un impatto devastante soprattutto sugli orfani e i senza dimora – spiegano alcuni membri di una Can di Cape Town –. Quindi i benestanti stanno usando le cucine delle loro case e dei loro ristoranti per offrire e distribuire cibo ai più disagiati».
Sono state inoltre avviate campagne di sensibilizzazione sulla prevenzione del coronavirus. Dagli operatori sociali agli insegnanti, dagli artisti agli allenatori sportivi, i comitati di quartiere hanno invitato i propri cittadini a condividere le loro capacità per il bene del Paese. Una semplice strategia che sembra funzionare.