Brexit. Il premier Johnson «imbavaglia» il Parlamento, rivolta a Londra
Più che un coup de théatre, l’ultima mossa ordita dal neopremier britannico Boris Johnson per vincere, a qualunque prezzo, la partita sulla Brexit è un colpo basso. A conferma delle indiscrezioni circolate per giorni fuori e dentro i Palazzi, spesso date addirittura per assurde, ieri, il titolare di Downing Street ha chiesto e ottenuto dalla regina Elisabetta quella sospensione temporanea del Parlamento (dal 9 settembre al 14 ottobre) che, nei fatti, rende impraticabile qualsiasi iniziativa legislativa volta a rimandare la Brexit o a fermare una separazione “no deal”.
La sospensione delle Camere (in inglese detta “prorogation”) è, in genere, una procedura di routine che si innesca al termine di una sessione parlamentare e prima dell’inizio di una nuova. Il diritto costituzionale la contempla anche in casi particolari, come quello invocato da Johnson che chiede una pausa preliminare a «un nuovo inizio». In una lettera inviata ai deputati, il primo ministro spiega che il 14 ottobre, quando le Camere torneranno a riunirsi, «la regina terrà un discorso sulla nuova agenda legislativa del governo e sull’approccio verso il Consiglio Europeo del 17 e 18 ottobre», quello immediatamente precedente la Brexit del 31.
La mossa del governo Johnson, negata a oltranza come strategia per bloccare ai Comuni il voto contro il “no deal” («è assolutamente falso», ha insistito il premier), ha provocato un terremoto politico di portata “nucleare”. Il leader dei laburisti, Geremy Corbyn, che lunedì aveva annunciato una coalizione di opposizione determinata a chiedere un posticipo della Brexit, ha invano chiesto di essere ricevuto dalla sovrana. In base alla Costituzione inglese, fondata su convenzioni, la regina avrebbe infatti potuto opporsi. Nessun sovrano, però, nella storia del Regno Unito lo ha mai fatto ed Elisabetta II, del resto sempre attenta a «mantenere le distanze» da Westminster ha firmato la proposta di Johnson. «Il primo ministro sta facendo una specie di furto con scasso alla nostra democrazia per forzare una Brexit senza accordo», ha tuonato il socialista Corbyn, minacciando una mozione di sfiducia già per il 3 settembre, quando il Parlamento riaprirà i battenti per appena cinque giorni. Furiosa anche la reazione dello speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, che ha bollato l’iniziativa del governo come un «oltraggio costituzionale».
Mentre la sterlina cadeva a picco, perdendo in poche ore fino all’1% rispetto all’euro e al dollaro, è montata anche la protesta della gente comune. Il sito Web di Westminster ha accolto una petizione contro la sospensione delle Camere che stamani è arrivata a superare un milione e 200mila sottoscrizioni. in migliaia sono scesi in piazza. Al coro di proteste si è aggiunta anche la voce di 25 vescovi anglicani che, in una lettera pubblica, hanno espresso «particolare preoccupazione» per il teso clima politico e per la prospettiva del “no deal”. Il divorzio da Bruxelles senza un accordo, avvertono, «difficilmente » porterà a una «riconciliazione o alla pace in un Paese spaccato». Nei giorni scorsi, a scendere il campo, era stato l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, la massima autorità religiosa della Chiesa d’Inghilterra, annunciando la propria partecipazione a dibattiti pubblici sul no deal.
Incurante di tutto, il premier BoJo va diritto per la sua strada convinto di avere dalla sua parte la legge e il Paese. «Gli Stati membri dell’Ue – spiega ai deputati – guardano con grande interesse a ciò che fa il Parlamento ed è solo mostrando unità e determinazione che abbiamo una possibilità di ottenere un nuovo accordo». Provando poi a smorzare le accuse di «oltraggio» o «scippo costituzionale», il premier, erede del Paese che per secoli ha rappresentato la culla della democrazia parlamentare, fa spallucce e rassicura: «I parlamentari avranno tempo a sufficienza per il dibattito». Per lui, ancora una volta, arriva l’endorsement del presidente degli Stati Uniti Donald Tump che, in un tweet, scommette sul fallimento del voto di sfiducia minacciato da Corbyn. «Boris è un grande – scrive –, l’uomo che il Regno Unito cercava».