Reportage. Kiev ha colpito per la prima volta in terra russa coi missili Usa
Una batteria missilistica russa distrutta da un lanciarazzi Himars americano a Belgorod, sul territorio della Federazione
La prova arriva da Belgorod. Territorio russo sulla fascia di confine con l’Ucraina: due batterie antiaeree sono in fiamme, incenerite dai missili Himars americani in dotazione alle forze di Kiev. Le foto trasmesse da infiltrati ucraini sul terreno confermano la prima operazione dopo l’ok di Washington all’uso di armi Nato per azioni circoscritte che era arrivato due giorni fa. Mosca si appresta a reagire già in queste ore. Ma nei commenti dal Cremlino non c’è più la minaccia a tutto campo. Il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, citato dall’agenzia Interfax ha messo in guardia «i funzionari americani dagli errori di calcolo che potrebbero avere conseguenze fatali». Gli Usa hanno infatti concesso il via libera a Kiev stabilendo alcune condizioni: che si tratti di obiettivi militari circoscritti lungo la fascia di confine, non in profondità nel territorio russo.
Nel Mare d’Azov e intorno alla Crimea ci sono almeno nove navi da guerra russe oltre a due sommergibili in grado di scagliare complessivamente oltre un centinaio di missili balistici e ipersonici, ma per tutta la giornata di ieri la gran parte degli ordigni con maggiore capacità distruttiva sono rimasti nei tubi di lancio. Nei discorsi tra i soldati in prima linea e nelle chiacchiere tra civili in attesa del prossimo allarme, ricorre una domanda: Putin ordinerà una nuova serie di attacchi brutali con il rischio di spaventare l’elettorato europeo nella settimana in cui si decidono i destini politici dell’Ue? Oppure continuerà a lavorare ai fianchi la difesa di Kiev in attesa di sapere se sarà riuscito a scampare il pericolo Mario Draghi alla presidenza della Commissione europea? L’ex premier italiano è forse l’uomo politico estero più stimato in Ucraina dopo Biden.
Il presidente Zelensky continua a chiedere armi e diverse fonti ufficiali ucraine si lamentano perché l’Italia dallo scorso dicembre non avrebbe più effettuato consegne significative. Ma nei prossimi giorni un sistema di difesa aerea “Samp/T” italiano dovrebbe entrare in azione. La batteria, chiamata anche Mamba, è di produzione franco-italiana, è in grado di tracciare decine di bersagli e può intercettarne anche 10 per volta. La scorsa settimana in una sola notte la Russia aveva lanciato 100 missili su tutto il Paese e la rete difensiva non era riuscita a fermarli tutti per tempo. Domenica un missile balistico ha di nuovo centrato il porto di Odessa, dove solitamente è posizionata una parte della contraerea. Una fonte italiana citata dall’agenzia Reuters ha confermato le indiscrezioni.
Domande e calcoli sulle ricadute elettorali non sono l’unico rompicapo per Mosca, dove valutano se brandire l’arma della paura a colpi di ordigni, oppure temporeggiare sperando in un esito delle urne nell’Ue più favorevole e tornare a regolare più avanti i conti.
Ma c’è un problema in più per Vladimir Putin. Un gruppo di donne russe ha inscenato una protesta davanti al Ministero della Difesa per chiedere il ritorno dei soldati mobilitati in Ucraina. Un dissenso crescente che è anche lo specchio delle fatiche al fronte.
Per chi vive con i russi alle porte le giornate sono sempre uguali, missile più missile meno. Come a Bilozerka, dove in piena inondazione provocata dalla distruzione della diga di Kakovka l’artiglieria di Mosca a metà giugno del 2023 uccise il parroco ortodosso che portava aiuto agli alluvionati. Ripetuti colpi di mortaio squarciarono le cupole della chiesa e distrussero il magazzino con i viveri che padre Mykola stivava prima di recarsi nei rifugi a consegnare acqua e cibo. Lunedì sera per poco non venivano uccisi due anziani contadini, marito e moglie intenti a coltivare gli ortaggi necessari a sopravvivere. Sono entrambi in ospedale e dovranno restarci per un pezzo. A poca distanza ieri è stata bersagliata una scuola che i bambini non frequentano più. L’ingresso dell’edificio è stato protetto con barriere di cemento, ma l’artiglieria russa è a meno di 5 chilometri in linea d’aria e ogni fiondata dei cannoni riesce a coprire una gittata anche tre volte superiore. Nella sterpaglia ancora fumante c’è la firma dell’attacco. E non si è trattato di mortaio. “Geran 2” è scritto in cirillico sull’ala annerita del drone iraniano. È una evoluzione dello “Shahed”, il velivolo kamikaze che in quantità industriale Teheran consegna alla Russia, dove l’intelligence occidentale segnala la messa in opera di alcuni stabilimenti per assemblare sul posto le componenti. Si accelerano i tempi aumentando le quantità di “kit” che è possibile stivare nei cargo aerei dei pasdaran diretti verso gli scali militari russi. A pochi metri c’è quel che resta della carcassa esplosiva, fino a pochi minuti prima spinta da un piccolo propulsore a elica poco più grande di un vecchio motore per lavatrice.
I residenti hanno una speranza: F-16. Lo ripetono in ogni occasione. Si dicono certi che quando i caccia entreranno in azione potranno sbaragliare dall’alto l’artiglieria appostata dietro al fiume e che anche ieri non ha fatto mancare il suo centinaio di colpi sull’intero abitato. I Paesi Bassi ieri hanno comunicato che consentiranno a Kiev di utilizzare gli aerei F-16 per colpire obiettivi militari anche sul territorio della Federazione Russa. Mentre la diplomazia non è ancora entrata nel vivo. La Cina, che non parteciperà al summit per la pace convocato in Svizzera dal 16 giugno, neanche ostacolerà – assicurano da Pechino – quei Paesi che aderiranno. Neanche il presidente americano Biden sarà presente, ma ieri Washington ha assicurato che la vicepresidente Kamala Harris e il consigliere alla Difesa Jake Sullivan ci saranno. Come dire che gli Usa seguono ogni iniziativa, ma Biden entrerà in gioco quando anche la Russia (e la Cina) saranno pronti a sedersi a un serio tavolo negoziale con Kiev.