«La vecchia Europa, nata sul coraggio, non ceda alla paura. L’Italia farà la sua parte». In Italia sono appena scoccate le nove di sera quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi chiude così il proprio intervento davanti all’Assemblea generale dell’Onu, riunita nel Palazzo di Vetro. Venti minuti di discorso in italiano (con gli interpreti nei loro gabbiotti che traducono a raffica nei cento idiomi della babele delle Nazioni unite), pronunciato in piedi e giocato sul
leit motiv della paura, sentimento paralizzante che rappresenta un ostacolo nell’affrontare le grandi crisi internazionali: dall’esodo dei migranti, alle crisi in Siria e in Libia, fino allo spettro del terrorismo rappresentato dal Daesh, acronimo arabo che designa il sedicente Stato islamico. Dopo «la generazione Telemaco» di un anno fa nell’Europarlamento, stavolta Renzi evoca il mitologico «Fobos, dio della paura, che era in grado di far perdere anche i migliori eserciti. Per questo Sparta aveva eretto a lui un grande tempio», ma «l’Europa è nata per sconfiggere la paura». La Ue «è nata per abbattere i muri e vedere sorgerne di nuovi» nel cuore del Continente «è intollerabile». In ideale sintonia coi moniti di Papa Francesco, il premier parte proprio rivendicando la necessità di non stare a guardare di fronte all’emergenza epocale dei flussi migratori: «Parlo a nome di un popolo generoso e responsabile che si impegna nel salvataggio di migliaia di fratelli e sorelle nel cuore del Mediterraneo», ricordando con fierezza ai leader e alle delegazioni diplomatiche del resto del mondo l’importanza dell’intervento umanitario italiano nel Mediterraneo, che da fine 2013 ha tratto in salvo quasi 300mila migranti. «Tutti ci siamo commossi per le immagini di un piccolo bambino che non potrà vedere il futuro», ammette il premier, citando le immagini scioccanti del piccolo Aylan (ritrovato annegato sulla spiaggia turca di Bodrum). Ma insieme a lui e ai tanti bimbi scomparsi, Renzi vuole ricordare i nomi «di quelli nati a bordo delle navi della Marina militare impegnata nei soccorsi: Diabambi, Salvatore, Francesca Marina...». Ma «non ci sono solo la Siria e l’Iraq, bisogna pensare anche all’Africa e alla Libia». E il premier vuole dire ai libici che «non sono soli» e lanciato un appello a «tutte le parti» in causa: «L’Italia è pronta a collaborare con un governo di unità nazionale nei settori chiave» e ad assumere, «se il governo libico lo chiederà, un ruolo guida per un meccanismo di assistenza e stabilizzazione, con il sostegno della comunità internazionale». Ancora, insiste, «abbiamo preso atto del fallimento dell’inerzia in Siria » e bisogna avere «coraggio di guardare in faccia la realtà: l’Is è un nemico pericoloso alle nostre porte ». C’è «un problema concentrato sulla presenza di Assad», ma «la priorità assoluta è evitare una Libia-bis. Gli attacchi contro Gheddafi erano senza strategia futura e ora abbiamo un Paese fuori controllo. Ogni iniziativa in Siria sarà credibile se risolverà il problema per oggi e per domani». Di fronte all’Onu, Renzi ribadisce la candidatura dell’Italia a per un seggio non permanente col motto “Costruire la pace di domani”» e ripete che il nostro governo «non si stancherà di lavorare per la moratoria sulla pena di morte. Su questo, riprendo le parole del Santo Padre qui e al Congresso Usa». Nel summit pomeridiano, il premier ha assicurato al presidente degli Usa «tutto il supporto del-l’Italia sul fronte antiterrorismo. Siamo di fronte alla più grande coalizione mai vista. Serve grande responsabilità e l’Italia è intenzionata a dare un sostegno risoluto». Renzi si dice convinto che l’Is verrà sconfitto, ma ribadisce i pericoli derivanti dalla propaganda jihadista su internet («Ci sono seri rischi per il reclutamento di militanti estremisti e per i terroristi “fai da te”») e ringrazia Barack Obama per un’iniziativa che «aiuta a non concentrarci solo sulle ultime breaking news, ma ad avere una strategia». Un sostegno al quale il presidente statunitense ha risposto con un informale «grazie Matteo», che pare confermare la stima e la confidenza esistente fra i due leader.