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Londra. Cameron: «Referendum sul futuro nell'Europa»

Giovanni Maria Del Re sabato 9 maggio 2015
Evitare il “Brexit”. Dopo l’incubo “Grexit”, c’è quello del Regno Unito dall’Ue, ora concretizzatosi con la vittoria di David Cameron e la conferma della sua promessa pre-elettorale: «Ci sarà un referendum sul nostro futuro in Europa», ha dichiarato ieri. L’orizzonte è quello del 2017. Molti big europei, a cominciare dal cancelliere tedesco Angela Merkel, vogliono assolutamente evitare un’uscita di Londra dall’Ue, che perderebbe un peso massimo sul fronte finanziario e di politica estera. «Una Gran Bretagna fuori dall’Ue sarebbe un disastro, innanzitutto per il Regno Unito» ha avvertito anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Si muove pure la Francia: il presidente francese François Hollande ha subito invitato Cameron a Parigi. Anche i mercati sono preoccupati: ieri l’agenzia di rating Fitch ha avvertito che per via del referendum «potrebbero esserci conseguenze per tutta l’economia britannica, rating incluso».  Le istituzioni Ue sono in allarme. «Conto che il governo britannico perori la causa della permanenza del Regno Unito nell’Ue – ha detto il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk –: una Unione migliore è nell’interesse non solo della Gran Bretagna, ma di tutti gli Stati membri». Tra quanti vogliono cercare di andare incontro a Cameron figura il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. «Sono pronto a lavorare con Lei per raggiungere un equo accordo per il Regno Unito e l’Ue e attendo con ansia le Sue idee e proposte a riguardo », ha scritto ieri in un messaggio al premier. Dei limiti, però, ci sono, come ha spiegato Margaritis Schinas, il portavoce di Juncker: «Le quattro libertà (libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi, n.d.r.) non sono negoziabili, perché sono l’essenza stessa dell’Ue», allusione alla richiesta di Londra di una limitazione dell’immigrazione di cittadini comunitari verso la Gran Bretagna. Richiesta che però trova simpatie anche a Berlino. Come c’è comprensione per le preoccupazioni di Londra per l’impatto che potrebbe avere l’integrazione dell’eurozona sui Paesi fuori dalla moneta unica.  Ieri il presidente del gruppo dei Popolari Europei all’Europarlamento Manfred Weber, molto vicino al cancelliere Merkel, ha dichiarato che gli altri europei «dovrebbero iniziare a pensare se sia giunto il momento per una vasta riforma dei Trattati». In realtà nelle cancellerie non c’è molta voglia: qualsiasi modifica richiederebbe l’unanimità a 28 e altrettante ratifiche nei Parlamenti.  «Ci sono molte cose che si possono fare senza cambiare i Trattati», ha spiegato il portavoce di Juncker. E non molti sono favorevoli a concedere ulteriori privilegi alla Gran Bretagna, che già ha strappato il famoso “sconto” sui contributi all’Ue (5,9 miliardi di euro nel 2014), più vari “opt-out”, dalla moneta unica a Schengen. Del resto, a Bruxelles su un punto sono convinti: un Brexit danneggerebbe prima di tutto la Gran Bretagna, che si troverebbe ad agire isolata nel mondo. Il rischio, però, si teme a Bruxelles, è una paralisi per due anni delle istituzioni Ue: con lo spauracchio del referendum, Londra potrebbe bloccare moltissime iniziative. «Un brutto giorno per l’Europa» titolava ieri Spiegel Online. CHI È CAMERON, IL TRIONFATORE Quando nel 2010 fece per la prima volta il suo ingresso al numero 10 di Downing Street, David Cameron divenne a 43 anni il più giovane primo ministro britannico degli ultimi due secoli. Il primo leader conservatore ad emergere dal lungo cono d’ombra imposto sul partito dall’ingombrante eredità di Margaret Thatcher, come toccò a John Major. Così, sotto la sua premiership, sono arrivate la legalizzazione delle nozze gay e la nomina del primo ministro donna musulmana, Sayeeda Warsi. Poi, per ridurre il deficit ereditato, il più alto dalla Seconda guerra mondiale, ha proceduto soprattutto a tagli al welfare, fortemente criticati dalla sinistra ma anche dalla Chiesa cattolica e anglicana.