Consiglio Ue. Recovery Fund, verso l'accordo. A Roma 209 miliardi. Conte: un successo
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera Angela Merkel, il premier spagnolo Pedro Sanchez e il premier portoghese, Antonio Costa, in vista della plenaria del vertice UE a Bruxelles
«I sussidi sono rimasti grossomodo quelli di prima, i prestiti sono aumentati. Io lo chiamerei successo, no?». Si affida a una domanda retorica, Giuseppe Conte, aggiornando il suo staff poco prima dell’ultimo round negoziale notturno. Probabilmente, a pochi metri di distanza, il “rivale” Mark Rutte (primo ministro dei Paesi bassi) sta facendo le medesime considerazioni dal suo punto di vista, quello di chi ha fatto scendere da 500 a 390 miliardi la parte in “grants” del Recovery fund. Sembrano aver ragione entrambi. E questa è la riprova che il negoziato sta davvero per concludersi. Al netto di incidenti che sono sempre dietro l’angolo quando i 27 si riuniscono: la clausola ambientale, la clausola sullo stato di diritto, la precisa definizione del cosiddetto “freno d’emergenza”, la scansione delle erogazioni in base ai dati del Pil... tutto può ancora riportare l’orologio europeo verso lo stallo.
Ma è chiaro che la sera bruxellese, per la delegazione italiana, è intrisa di quel «cauto ottimismo» che si è cominciato ad avvertire nella notte tra domenica e lunedì, quando i leader erano d’accordo su nulla tranne che su un punto essenziale: bisogna chiudere oppure si inizia a ballare – tutti – sui mercati. Il premier Conte riavvolge il nastro ai giorni di marzo, e ad alta voce detta già la linea da tenere in Italia nei prossimi giorni: «Abbiamo gli eurobond, abbiamo un debito comune. Spieghiamo bene ai nostri cittadini cosa significa: abbiamo delle risorse messe a disposizione di tutti i Paesi Ue che vanno in modo solidale ai Paesi più colpiti dal virus, e la quota principale è per l’Italia. Oggi l’Ue ha ripreso il cammino...». Ovviamente non dimentica, Conte, il contributo fondamentale di Merkel e Macron, «due veri europeisti», li definisce il premier che però nelle ultime ore ha stretto un sodalizio ancora più forte con gli altri premier del Sud: lo spagnolo Sanchez, il portoghese Costa, il greco Mitsotakis.
Fermo restando che il tema del ruolo del Consiglio Ue e dei singoli Stati nelle tappe di erogazione dei fondi è ancora avvolto da una certa ambiguità («L’ultima mediazione non ci preoccupa, è un semplice dibattito che allunga i passaggi senza bloccare la procedura», spiegano fonti italiane), a far pendere la bilancia in positivo è il conto finale dei fondi per l’Italia. In base ad artifici aritmetici che hanno salvaguardato le “allocazioni dirette” e taglieggiato i “fondi tematici”, pur diminuendo, all’interno dei 750 miliardi, la parte di sussidi a favore dei prestiti, Roma non ne uscirebbe danneggiata.
In totale l’Italia può accedere a 81,4 miliardi di “grants” (poco meno della proposta della Commissione, 4 in meno rispetto all’ultima bozza–Michel) e a 127,4 miliardi in prestiti (quasi 40 in più rispetto alla bozza Von der Leyen). La somma complessiva a disposizione dell’Italia, nonostante i tagli imposti dai Paesi “frugali” (Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, i cui premier si erano definiti così in una lettera inviata al Financial Times) alla parte in sussidi, sale da 173,8 a 208,8 miliardi (al netto del contributo italiano, che nella proposta della Commissione era di quasi 56 miliardi e ora andrà ricalcolato).
«Gli altri stavano accettando una riduzione da 750 a 700 miliardi complessivi, io ho tenuto duro», spiega Conte. Che rivendica quello che a suo parere è il maggior successo: «Ho preteso che non fossero tagliati i “grants” con maggiore ritorno finanziario per l’Italia. E non sottovalutate l’aumento dei prestiti, potenzialmente abbiamo 39 miliardi in più da chiedere a condizioni molto vantaggiose».
Già, 39 miliardi di prestiti in più da poter prendere tramite il Recovery act, ovviamente condizionati all’avanzamento delle riforme. Più o meno l’ammontare del Mes. Così dall’algebra spuntano i dati politici: Conte sembra poter tirare fuori da Bruxelles un “tesoretto” che renderà meno necessario l’accesso al prestito del salva–Stati. Ma di questo non v’è ancora certezza: perché i fondi del Recovery partiranno l’anno prossimo, le difficoltà di bilancio sono già adesso e il Mes resta l’unica ondata di liquidità “a pronta consegna”.