In un angolo di Cisgiordania non lontano da Ramallah, tra le colline punteggiate dagli ulivi (e dai
check point israeliani non ancora smantellati), c’è un sogno in costruzione. Un sogno che sta crescendo, letteralmente, mattone su mattone. Da qualche settimana le ruspe hanno cominciato a scavare su una collina vicino al villaggio di Atara, nove chilometri a nord della capitale palestinese. Stanno preparando il terreno su cui presto sorgerà Rawabi, la città modello, ecologica e a misura d’uomo, destinata ad essere il simbolo di una nuova Palestina. È ambizioso il sogno in cui ha creduto per primo Bashar Masri, uomo d’affari locale che, dopo aver fatto fortuna nel settore immobiliare in vari Paesi arabi, ha deciso di scommettere sul futuro della propria terra. Con il sostegno finanziario della compagnia qatariota Qatari Diar, Masri, direttore della Bayti Real Estate, ha così investito oltre cinquecento milioni di dollari nel progetto di una città nuova di zecca, pensata su misura per i giovani professionisti palestinesi, con un’elevata formazione professionale ma scarsissime possibilità di trovare lavoro in patria. Rawabi (in arabo "colline"), il cui progetto ha ottenuto la benedizione dell’Autorità nazionale palestinese, garantirà circa seimila case a prezzi abbordabili a una popolazione iniziale di ventiicnquemila persone, destinata a crescere fino a quarantamila in successive fasi di costruzione. I cittadini potranno godere di infrastrutture modernissime, un distretto finanziario e un centro commerciale, scuole pubbliche e private oltre che parchi, hotel, cinema, librerie, centri di salute, moschee e una chiesa. E, soprattutto, potranno ambire a uno dei diecimila posti di lavoro che il nuovo complesso urbano – nelle speranze dei suoi ideatori e sostenitori – dovrebbe creare. «Questo progetto rientra decisamente nel concetto di "costruzione nazionale" – ha spiegato Bashar Masri –. Tale costruzione infatti non è solo politica, ma significa anche offrire una miglior qualità di vita alle persone, rilanciare l’economia, pianificare e sviluppare. Rawabi è tutto questo». Se qualche anno fa, quando le tensioni nella zona restavano alte e la stabilità era appesa a un filo, l’idea pareva una fantasia un po’ bizzarra, oggi sono in molti a scommettere concretamente sulle potenzialità della nuova città. Nell’ultimo anno, infatti, le politiche del primo ministro Salam Fayyad hanno portato a una piccola rivoluzione nei Territori palestinesi. Nei centri urbani, da Ramallah a Jenin, da Nablus a Hebron a Betlemme, l’anarchia ha lasciato spazio all’ordine presidiato dalle forze di sicurezza dell’Autorità nazionale. Israele, da parte sua, ha rimosso venticinque blocchi stradali che sezionavano la Cisgiordania soffocandone l’economia. E mentre la gente, esausta di conflitti senza fine, mostra un’evidente voglia di normalità (il consenso per gli estremisti di Hamas, che fanno il bello e il cattivo tempo a Gaza, è ai minimi storici), gli investitori – arabi e occidentali – sono tornati in Palestina. Il che si traduce in nuova vita per le strade, ristoranti e boutique che aprono i battenti, crescita economica record: nel 2009, in tempi di crisi finanziaria, qui il Pil è aumentato di oltre il dieci per cento, grazie agli aiuti internazionali e alla gestione efficiente di Fayyad. Ramallah, al centro di questo fermento, si ritrova sempre più congestionata dal traffico e sovrappopolata. Per la classe media emergente, Rawabi – città residenziale sul modello americano – sembra l’alternativa perfetta. E il progetto potrebbe allettare anche parte dei moltissimi palestinesi emigrati in questi anni all’estero, in cerca di lavoro e stabilità. Ma la via verso questa nuova Palestina, prospera e serena, è ancora tortuosa e piena di ostacoli. Israele non ha ancora accettato di trasferire all’autorità palestinese il controllo di un tratto della strada (meno di tre chilometri) che collega Ramallah al sito dove sta sorgendo Rawabi, e che costeggia l’insediamento israeliano di Ataret. Senza contare che i
check point smantellati sono stati sostituiti da frequenti blocchi stradali mobili e da incursioni quotidiane nei territori palestinesi, sempre in nome della sicurezza. È evidente che, in mancanza di una precisa volontà politica dalle due parti, la rinascita della Cisgiordania resta appesa a un filo. Nonostante il lavoro alacre delle ruspe, una città modello non basterà a costruire una nuova Palestina.