Una sequenza impressionante, fatta di incidenti, allarmi e improvvisi silenzi. Il Giappone tenta di scongiurare l’incubo atomico, ma la paura cresce. «Ora sono realmente possibili conseguenze all’esterno per l’impianto di Fukushima» commenta l’ingegnere
Stefano Monti, responsabile Enea dell’unità tecnica per la sicurezza dei reattori, quando gli diamo la notizia confermata dall’Ispra del passaggio a livello 5 dell’emergenza (che sarebbe addirittura a livello 6 per l’Ue). «Adesso è probabile il danneggiamento del nocciolo del reattore» spiega Monti, anticipando l’analisi dell’Aiea. Da giorni questo ingegnere nucleare sta seguendo, ora dopo ora, il lavoro dei tecnici giapponesi in prima linea nella battaglia per arginare i rischi di radioattività. «La situazione si è complicata lunedì sera, con l’esplosione nell’unità 2 di Fukushima».
Cosa è accaduto precisamente? Fino a lunedì nelle unità 1 e 3 coinvolte da incidenti, erano rimasti integri, oltre al nocciolo centrale, anche i due sistemi di sicurezza interni, che rappresentano la barriera più importante contro il diffondersi di radiazioni. Nell’ultima esplosione, invece, sembra sia stato danneggiato il guscio di contenimento primario. Sono fuoriusciti prodotti di fissione e si sono registrati picchi di radioattività importanti.
Cosa cambia per la popolazione?Il rilascio di radioattività è destinato ad aumentare rispetto all’inizio, quando era relativamente basso. La zona interessata adesso è più ampia, nell’ordine di un centinaio di chilometri. Le stesse squadre operative che lavorano per congelare il reattore non possono più stare in quell’area, perché i livelli di esposizione rischiano di creare forti danni alla salute.
C’è una spiegazione dietro alla sequenza cui stiamo assistendo?No, la sequenza è incidentale ed è analoga a tutti i reattori. Non va dimenticato che, nei primi giorni dell’emergenza, non si sono registrate complicazioni dal punto da punto di vista epidemiologico perché gli eventi cui abbiamo assistito sono stati circoscritti. Nel caso dell’esplosione di sabato, che ha fatto il giro del mondo sulle tv, è saltato il tetto dell’edificio esterno ma il doppio sistema di sicurezza della centrale è stato interamente preservato. Semmai, il problema è un altro.
Quale? La difficoltà ad avere informazioni è enorme, nonostante il grande impegno delle autorità internazionali delle energia atomica e locali. Non è facile trovare le contromisure a quanto sta succedendo, quando arrivano notizie contrastanti.
C’è chi ha parlato di rischio plutonio. È d’accordo? Non credo che la radioattività possa arrivare da metalli pesanti come il plutonio, semmai può originarsi da prodotti di fissione: i valori di iodio e cesio possono salire ma finora non ci sono in circolazione dosi letali. Non solo: tutte le misure di precauzione adottate sono state corrette, per cui chi sventola i fantasmi del passato si sbaglia. In Europa si è già aperto un dibattito sull’opportunità di investire sulla tecnologia nucleare.
L’ha sorpresa?Parlo da tecnico, non da politico: credo sia necessario un ripensamento sulle centrali più vecchie, non sugli impianti di nuova generazione. In fondo, la Germania ha bloccato i reattori in uso da più anni. Il problema è fare una valutazione sui criteri di estensione della vita media delle centrali. In Giappone i reattori di cui stiamo parlando risalgono al 1971 e normalmente restano in funzione per 30 anni. Uno di quelli coinvolti negli incidenti sarebbe stato posto in arresto definitivo nei prossimi mesi.
Sta dicendo che è meglio sostituire le centrali vecchie con le nuove, che possono contare su sistemi di sicurezza maggiori?Penso semplicemnte che questo sia un passaggio critico su cui vale la pena riflettere. In Giappone, i quattro impianti nucleari di terza generazione hanno tenuto perfettamente.