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LA PAURA NEL MONDO. «Radioattività in aumento fino a cento chilometri»

Diego Motta mercoledì 16 marzo 2011
Una sequenza impressionante, fatta di incidenti, allarmi e improvvisi si­lenzi. Il Giappone tenta di scon­giurare l’incubo atomico, ma la paura cre­sce. «Ora sono realmente possibili conse­guenze all’esterno per l’impianto di Fuku­shima» commenta l’ingegnere Stefano Monti, responsabile Enea dell’unità tec­nica per la sicurezza dei reattori, quando gli diamo la notizia confermata dall’Ispra del passaggio a livello 5 dell’emergenza (che sarebbe addirittura a livello 6 per l’Ue). «Adesso è probabile il danneggia­mento del nocciolo del reattore» spiega Monti, anticipando l’analisi dell’Aiea. Da giorni questo ingegnere nucleare sta se­guendo, ora dopo ora, il lavoro dei tecni­ci giapponesi in prima linea nella battaglia per arginare i rischi di radioattività. «La si­tuazione si è complicata lunedì sera, con l’esplosione nell’unità 2 di Fukushima». Cosa è accaduto precisamente? Fino a lunedì nelle unità 1 e 3 coinvolte da incidenti, erano rimasti integri, oltre al nocciolo centrale, anche i due sistemi di sicurezza interni, che rappresentano la barriera più importante contro il diffon­dersi di radiazioni. Nell’ultima esplosio­ne, invece, sembra sia stato danneggiato il guscio di contenimento primario. Sono fuoriusciti prodotti di fissione e si sono re­gistrati picchi di radioattività importanti. Cosa cambia per la popolazione?Il rilascio di radioattività è destinato ad aumentare rispetto all’inizio, quando era relativamente basso. La zona interessata adesso è più ampia, nell’ordine di un cen­tinaio di chilometri. Le stesse squadre o­perative che lavorano per congelare il reat­tore non possono più stare in quell’area, perché i livelli di esposizione rischiano di creare forti danni alla salute. C’è una spiegazione dietro alla sequenza cui stiamo assistendo?No, la sequenza è incidentale ed è analo­ga a tutti i reattori. Non va dimenticato che, nei primi giorni dell’emergenza, non si sono registrate complicazioni dal pun­to da punto di vista epidemiologico per­ché gli eventi cui abbiamo assistito sono stati circoscritti. Nel caso dell’esplosione di sabato, che ha fatto il giro del mondo sulle tv, è saltato il tetto dell’edificio e­sterno ma il doppio sistema di sicurezza della centrale è stato interamente preser­vato. Semmai, il problema è un altro. Quale? La difficoltà ad avere informazioni è e­norme, nonostante il gran­de impegno delle autorità internazionali delle energia atomica e locali. Non è fa­cile trovare le contromisu­re a quanto sta succeden­do, quando arrivano notizie contrastanti. C’è chi ha parlato di rischio plutonio. È d’accordo? Non credo che la radioattività possa arri­vare da metalli pesanti come il plutonio, semmai può originarsi da prodotti di fis­sione: i valori di iodio e cesio possono sa­lire ma finora non ci sono in circolazione dosi letali. Non solo: tutte le misure di pre­cauzione adottate sono state corrette, per cui chi sventola i fantasmi del passato si sbaglia. In Europa si è già aperto un dibattito sul­l’opportunità di investire sulla tecnolo­gia nucleare. L’ha sorpresa?Parlo da tecnico, non da politico: credo sia necessario un ripensamento sulle centra­li più vecchie, non sugli impianti di nuo­va generazione. In fondo, la Germania ha bloccato i reattori in uso da più anni. Il problema è fare una valutazione sui crite­ri di estensione della vita media delle cen­trali. In Giappone i reattori di cui stiamo parlando risalgono al 1971 e normalmen­te restano in funzione per 30 anni. Uno di quelli coinvolti negli incidenti sarebbe sta­to posto in arresto definitivo nei prossimi mesi. Sta dicendo che è meglio sostituire le cen­trali vecchie con le nuove, che possono contare su sistemi di sicurezza maggiori?Penso semplicemnte che questo sia un passaggio critico su cui vale la pena riflet­tere. In Giappone, i quattro impianti nu­cleari di terza generazione hanno tenuto perfettamente.