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Covid. In Africa va in onda la prevenzione, così le radio rallentano il virus

Luicia Capuzzi venerdì 16 ottobre 2020

«Era il mio sogno da tanto tempo. Si è realizzato al momento giusto. Quando, con l’irruzione del Covid, la radio s’è fatta indispensabile». È emozionato monsignor Anthony Borwah, vescovo di Gbarnga, nel nord-est della Liberia. Fino al 15 maggio, i 1,2 milioni di abitanti della diocesi sono rimasti “senza voce”. Un problema non da poco in un Continente dove appena il 39 per cento della popolazione, secondo l’ultimo studio di Banca mondiale, ha accesso a Internet. E si tratta di una stima al rialzo: nei Paesi più poveri della regione, si scende sotto il 20 per cento. La tv e, ancor più, i giornali sono simboli di benessere limitati a un’esigua classe medio-alta. E la radio è l’unico strumento di comunicazione universale. La gente di Gbarnga, tuttavia, riusciva a captare, non senza difficoltà, solo le frequenze di due delle venti emittenti concentrate nella capitale, Monrovia.

«Il punto è queste raramente davano informazioni locali. La diocesi comprende tre contee e una miriade di villaggi sparsi e spesso distanti ore di cammino gli uni dagli altri. E i mezzi di trasporto sono scarsi. Occorreva qualcosa che arrivasse a tutti», sottolinea monsignor Borwah, il «vescovo giornalista», come è stato soprannominato.

«Eh già, ho studiato giornalismo a Roma. È stato parecchio tempo fa ma, grazie a quel tipo di formazione, ho capito che ci voleva uno strumento di comunicazione che potesse arrivare a tutti». Da questa “ostinazione profetica” è nata Radio Paraclete, cioè Paraclito, la voce dello Spirito, come ama definirla il vescovo.

Non a caso è stata inaugurata proprio il giorno di Pentecoste. «Non ce l’avremmo fatta senza l’aiuto della Conferenza episcopale italiana (Cei) che ci ha sostenuto con l’8xmille. E l’accompagnamento di Signis, Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, con la sua squadra di Roma». Il progetto era in cantiere da ben prima della pandemia. Con l’irruzione del virus, però, è diventato urgente. Come ha sottolineato l’Onu, poco meno della metà del pianeta – il 46 per cento della popolazione – ha vissuto o vive il lockdown senza connessione alla Rete. Parole come smartworking, scuola a distanza, telemedicina suonano incomprensibili per gran parte del Sud del mondo «disconnesso».

Per Gbarnga, però, quel tempo appartiene al passato recente. «Radio Paraclete è uno strumento di evangelizzazione. Ma non è rivolta solo ai cattolici. Cerchiamo di promuovere valori profondamente umani, come la riconciliazione, un processo fondamentale in un Paese che ha vissuto lunghi decenni di guerra civile, terminata solo nel 2003. Con il diffondersi del virus, inoltre, abbiamo iniziato una serie di programmi ad hoc, sia per aiutare la gente colpita dalle restrizioni sanitarie sia per sensibilizzarla riguardo alla crisi in atto». In mancanza di informazioni attendibili, nella regione circolavano le teorie più bizzarre: dal «male dei bianchi» a un «complotto del governo».

Radio Paraclete, alimentata con i pannelli solari e portata avanti da uno staff di giovani del posto, ha spiegato, spesso per la prima volta, in modo completo le modalità di contagio e le più elementari misure di prevenzione. ​

Lo stesso ha fatto un’altra “new entry” nel panorama mediatico africano, Radio Hekima, «unità» in lingua Swahili, inaugurata in piena pandemia dalla diocesi di Mbinga, nell’estremo sud della Tanzania, quasi a ridosso della frontiera con il Malawi, sempre grazie a un vescovo determinato, monsignor John Ndimbo, e all’aiuto di Cei e Signis. «Favorire la coesione sociale è il nostro fine. Nella nostra diocesi, una parte della popolazione è musulmana. Vogliamo essere ponte e canale di dialogo», racconta il responsabile, padre Deogratias Nditi.

Accanto a questo, l’emittente, la prima di Mbinga che dà voce a oltre mezzo milione di abitanti, ha avuto un ruolo cruciale nella sensibilizzazione sulla pandemia che, con 1,6 milioni di casi e 39mila morti, per altro, ha avuto un impatto minore rispetto alle previsioni iniziali. «Non è stato facile, all’inizio le persone non sapevano bene che cosa fosse il virus. Lo sforzo paziente di spiegazione quotidiana, però, ha prodotto ottimi risultati. Oltretutto, da Mbinga raggiungiamo anche un’ampia porzione di regioni vicine, come Nyasa, Songea e Namtumbo, anch’esse prima scollegate. In base alle rilevazioni, tutta quell’area è stata la meno colpita dalla pandemia ed è bello poter pensare di avere contributo a ridurre le sofferenze delle persone».