«La Chiesa in Medio Oriente ci sarà sempre. Sarà più o meno sofferente, ma ci sarà. Il Signore non permetterà che la sua terra divenga solo un museo».
L’arcivescovo Maroun Lahham, vicario del Patriarcato di Gerusalemme, è il pastore dell’intera Giordania, cioè di circa 100mila cattolici di rito latino, la metà dei cristiani presenti nel regno hashemita. Lo abbiamo intervistato a margine di un incontro organizzato dal tour operator italiano Brevivet.
Qual è la condizione dei cristiani in Giordania?Siamo fortunati, soprattutto se ci paragoniamo ai nostri fratelli in Iraq, Egitto o adesso in Siria. Siamo solo il 3% della popolazione, eravamo il 10% negli anni ’50, ma in numero assoluto in realtà siamo cresciuti. È che i musulmani, per numero di figli e per immigrazione, crescono maggiormente. Viviamo bene e abbiamo libertà di culto. Ci manca solo la libertà di coscienza. Nel Paese ci sono 35 parrocchie, abbiamo una quarantina di sacerdoti e, ringraziando Dio, ogni anno abbiamo 8-9 nuove ordinazioni di preti.
Ma la convivenza con i musulmani è sempre pacifica? C’è una vera integrazione?Stiamo bene insieme. La convivenza è ottima, i ragazzi musulmani e cristiani stanno sempre insieme, a cominciare dalla scuola. Anche nelle nostre scuole cattoliche abbiamo circa il 40% di iscritti che sono musulmani. E quando c’è l’ora di religione, loro possono seguire le lezioni sull’islam (nelle scuole statali, invece, non c’è l’insegnamento della religione cristiana). Tutto però si ferma e si divide, in qualche modo, al momento del matrimonio. I matrimoni misti sono pochissimi. E al 90% non funzionano. Perciò abbiamo deciso di non benedire i matrimoni fra musulmani e cristiani (normalmente si tratta di uomini musulmani che sposano donne cristiane, perché per sposare donne musulmane all’uomo è sempre richiesta la conversione all’islam). Ci sono poi le preoccupazioni per il pericolo jihadista, in particolare esterno. Non siamo del tutto al riparo.
Ora avete la sfida della forte presenza di profughi dalla Siria, che sono in grandissima parte musulmani, come la affrontate?Accogliendo tutti e cercando, attraverso la nostra Caritas – a sua volta sostenuta da altre Caritas di Paesi occidentali come l’Italia – e le nostre parrocchie di far fronte ai loro bisogni. Materiali anzitutto: cibo, case, riscaldamento per l’inverno. Ma anche assistenza sanitaria e soprattutto scuola pomeridiana per i ragazzi.
A maggio riceverete la visita del Papa. Come vi state preparando?Siamo al lavoro per prepararci al meglio. Il Papa starà solo 6 ore in Giordania: oltre agli incontri con le autorità civili e religiose, celebrerà la Messa nello stadio di Amman e poi avrà un incontro con gli ammalati, i disabili e gli orfani. Speriamo di rispondere bene alle sensibilità di papa Francesco.
E le autorità civili come hanno reagito alla notizia della visita?Sono stati contentissime. La Giordania è orgogliosa che la prima visita fuori dall’Italia del Papa sarà nel nostro Paese (quella in Brasile era già stata decisa da Benedetto XVI) e che poi andrà in Terra Santa. Anche il Re, l’hashemita Abdullah II, mi ha detto: «Fate tutto come vuole il Papa, in piena libertà. A una sola condizione: deve dire una Messa per i cristiani di Giordania».
Da qui, dall’Oriente, come vedete noi cristiani d’Occidente?Devo dire che per noi l’Occidente è un modello di democrazia, di sviluppo, di libertà. Ma non più di fede. Sembra che da voi la parola «Dio» sia stata quasi cancellata. Forse sarà perché noi arabi la pronunciamo sempre, ma chi viene da voi resta scandalizzato da questa assenza. E più ancora dal disgregarsi delle famiglie.