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Gli affari del Qatar. Quegli emiri sempre più di casa in Italia

Pietro Saccò martedì 6 giugno 2017

All'improvviso i soldi del Qatar diventano un problema. Legare la propria immagine a quella del terrorismo internazionale è l’ultima cosa che qualsiasi azienda vorrebbe ma questa è la situazione con cui devono fare i conti le tante società che in questi anni hanno fatto affari con la famiglia al-Thani e il suo fondo sovrano da 335 miliardi di dollari. Impossibile ignorare le accuse sui rapporti tra il Qatar e organizzazioni terroristiche ora che per via di quelle “amicizie pericolose” ben cinque Stati hanno chiuso i rapporti con Doha. Perché forse è vero che i soldi “non puzzano”, però possono creare qualche imbarazzo dopo anni in cui in Europa abbiamo assistito alla gara per conquistare i petrodollari qatarioti. Una gara in cui, come spesso accade, la Germania ha probabilmente avuto la meglio. La Qatar Holding che nell’ormai lontano 2009 era entrata nel gruppo Porsche oggi è tra i maggiori azionisti del colosso Volkswagen, dove ha una quota del 14,6% e due posti nel consiglio di supervisione.

Oltre a investire sul più grande gruppo automobilistico d’Europa, gli emiri hanno messo nel mirino anche la maggiore banca della zona euro, Deutsche Bank. Hanno comprato una quota del 6,1% ma hanno già chiesto alle autorità di vigilanza la possibilità di salire oltre il 10% puntando, secondo le indiscrezioni, a rilevare il 25%. Se l’operazione dovesse riuscirgli, gli emiri del Qatar potrebbero diventare uno dei protagonisti della finanza europea: hanno già il 6,3% della scozzese Barclays, della quale hanno partecipato al salvataggio, e il 5% di Credit Suisse. Il Qatar poteva avere anche il controllo del Monte dei Paschi di Siena.

Il fondo sovrano degli emiri doveva portare un miliardo di euro ed essere l’investitore di riferimento dell’operazione di 'messa in sicurezza' della banca toscana predisposta dall’Ad Marco Morelli. Un’operazione naufragata dopo che il referendum del 4 dicembre ha mandato in crisi il governo Renzi, che aveva avuto un ruolo attivo in questa strategia, come ha confermato lo stesso ex presidente del Consiglio. Senza ottenere gli stessi investimenti dei tedeschi, l’Italia ha comunque un canale privilegiato con Doha. Non poteva essere altrimenti, dal momento che la famiglia al-Thani fin dalla creazione del suo fondo sovrano, nel 2005, ha mostrato di essere innamorata del lusso e dei simboli della ricchezza occidentale. Come il marchio americano Tiffany (ne hanno il 13%) o la maison italiana Valentino, rilevata nel 2012 dal fondo Permira per 700 milioni di euro assieme alla licenza M Missoni per circa 700 milioni di euro.

O come gli spettacolari hotel della Costa Smeralda, che il miliardario americano Tom Barrack ha venduto agli emiri nel 2012 per 55 milioni di euro. In Sardegna gli al-Thani stanno anche realizzando l’ospedale Mater Olbia (costo 1,2 miliardi) e salvando Meridiana, la compagnia di riferimento per i turisti che vogliono raggiungere la costa settentrionale dell’isola: a giorni Qatar Airlines (che ha anche il 20% dell’alleanza British- Iberia) dovrebbe completare l’acquisizione del vettore attraverso una holding con l’Aga Khan in cui i qatarioti hanno il 49%, per un investimento iniziale di 39,2 milioni di euro. In Italia il luogo in cui la forza finanziaria del Qatar è più visibile resta però Milano, dove gli emiri hanno potuto fare un massiccio shopping immobiliare.

L’Emirato è infatti il proprietario del 100% del nuovo distretto finanziario della città, l’area di Porta Nuova, compresi la torrre di UniCredit (la più alta d’Italia) e il Bosco Verticale disegnato da Stefano Boeri. Ci ha investito 2 miliardi di euro comprandoli dal costruttore Manfredi Catella, di cui sono soci nell’immobiliare Coima Res, dove controllano il 40%. A Milano gli emiri hanno comprato anche l’hotel Gallia, che arricchisce la loro collezione di alberghi di lusso di cui fanno parte, nel nostro Paese, il Four Season di Firenze e il Baglioni e l’Excelsior a Roma. Luoghi e marchi della “bella vita” il cui nome ora si collega a un proprietario accusato di essere amico dei terroristi. Fa un po’ impressione, anche perché questi 'amici dei terroristi' sono molto amici anche dell’Italia.

Lo hanno confermato due operazioni recenti. Una è quella che lo scorso giugno, dopo intensa attività diplomatica del governo, ha permesso a Fincantieri e Leonardo di battere la concorrenza francese e chiudere un contratto da 4 miliardi di euro per la fornitura di sette navi da pattugliamento marittimo alla marina del Qatar. L’altra è la cessione del 19,5% della russa Rosneft al fondo del Qatar e alla mineraria svizzera Glencore (a sua vola partecipata da Doha) per 10,2 miliardi di euro: a supportare finanziariamente la colossola operazione l’italiana Intesa Sanpaolo. Ma fa ancora più impressione l’intensa attività italiana del principe Hamad bin Nasse Al Thani, che negli ultimi anni ha inaugurato almeno 33 centri islamici nel nostro Paese. Centri culturali e di preghiera in molti casi interamente finanziati da Doha con obiettivi tutti da capire.