L'analisi. Quattro punti da cui Teheran dovrà ripartire
Tanti, giovani, ma non per questo convinti che con le testate contro il muro si possa ottenere qualcosa. Soprattutto nell’Iran che ha pagato con il sangue la reazione degli studenti all’imbroglio “supremo” dell’elezione di Ahmadinejad nel 2009. Sono stati loro a confermare Hassan Rohani come presidente. Moderato, non certo ammantato del verde dei riformisti. Ma pur sempre il presidente meno restrivo del delfino di Khamenei, quel Raissi che nonostante il vuoto che è stato creato attorno a sé non è andato oltre lo zoccolo duro dei conservatori duri e puri della rivoluzione. Ma sono essenzialmente quattro, per ridurli ai fondamentali, gli scenari sui quali il nuovo presidente Rohani dovrà confrontarsi nei prossimi quattro anni.
Politica estera e armi
Premesso che sia la politica estera che l’esportazione di essa “sulle punte delle baionette” sono prerogativa insindacabile della Guida suprema Ali Khamenei, l’Iran si confronterà con Israele e Arabia Saudita nello scenario mediorientale dove ha spostato, da tempo, verso occidente il suo baricentro: appoggio agli hezbollah libanesi, presenza attraverso (e non solo) essi in Siria e foraggiamento degli insorti sciiti Houti in Yemen, sono solo alcuni degli scenari. Saprà Rohani imporre il suo passo o, come in questi primi quattro anni, seguirà quanto tracciato dall’ayatollah? Lo stesso vale per l’accordo sul nucleare (e gli attacchi ad esso portati da Trump) e la contrapposizione sempre più palese nel Golfo con gli Stati a guida sunnita e le rispettive corse al riarmo convenzionale.
Economia
E’ stato il principale tema della campagna elettorale visto che la Repubblica islamica deve fare i conti con un tasso di disoccupazione ufficiale al 12,5% e con una crescita minima nel settore petrolifero, principale risorsa del Paese. La fine dell’embargo ha sì favorito l’esportazione del greggio, ma ha anche abbassato il prezzo della materia prima che non ha più superato la quota di 55 dollari al barile riducendo gli introiti, nonostante il calo della produzione dei Paesi Opec in risposta a Teheran. Elogiato per aver domato l'inflazione e facilitato la revoca delle sanzioni internazionali grazie alla firma nel 2015 di uno storico accordo nucleare con le potenze mondiali, Rohani, èstato accusato dal suo sfidante e dai media di ”regime” di non aver mantenuto le promesse di massicci investimenti stranieri e soprattutto di aver fatto poco per aiutare i poveri. "Rohani ha esagerato con l'austerity. L'inflazione era già in calo. Non è riuscito a dare una spinta all'economia spendendo di più sui progetti di sviluppo", ha chiosato Javad Salehi-Isfahani, professore di Economia alla Virginia Tech begli Stati Uniti.
I diritti umani
Qui dovrà far pesare il fatto che al secondo mandato non ha più nulla da perdere, visto che non potrà essere rieletto per la terza volta. Repressione e censura sono, infatti, ancora all’ordine del giorno dopo 4 anni di presidenza Rohani. Decine di attivisti, giornalisti, blogger e artisti sono in carcere per motivi politici, mentre nei quattro anni del suo mandato sono state oltre tremila le esecuzioni capitali, il numero più alto mai registrato in 25 anni. Sarà in grado di opporsi al pugno di ferro che Khamenei continua ad abbattere sulla politica interna iraniana?
L’isolamento del Paese
Quello che i giovani chiedono a Rohani, ma con loro una buona fetta della media borghesia che lentamente si sta riaffermando soprattutto a Teheran, è di non interrompere il processo di apertura all’esterno. Un processo che potrebbe apparire ineluttabile, ma visti i precedenti iraniani nulla va dato per scontato. Con la crescita degli investimenti stranieri, cresce certamente la circolazione di denaro. Un po’ meno quella delle idee. Anche se va dato atto a Rohani di aver eliminato arcaici tabù legati alla musica o alle arti figurative. Molti registi restano però all’estero o i loro film bloccati dalla censura. Il cammino appare arduo, in quattro anni qualche passo è stato compiuto. Ora però potrebbe non bastare.