Una strage nascosta. Un’ecatombe silenziosa che si consuma sotto il sole del Qatar con già 1.200 persone morte nella costruzione degli stadi per i mondiali di calcio del 2022. È quella che denunciano i sindacati internazionali e italiani dell’edilizia che puntano il dito sulle condizioni di sostanziale schiavitù a cui sono costretti i lavoratori immigrati nell’emirato arabo. Per accendere i riflettori su questo dramma hanno scritto una lettera al governo italiano, oltre ai vertici nostrani e internazionali del calcio e manifesteranno martedì a Roma alla Figc e a Torino in occasione della partita di Champions tra Juventus e Monaco.Sotto accusa da parte dei sindacati è in particolare il sistema della "Kafala", il legame di affido attraverso il quale gli imprenditori qatarioti legano alle imprese i lavoratori provenienti da India e Nepal. Operai costretti così a non poter lasciare il datore di lavoro senza il suo consenso, a non poter ottenere il visto d’uscita dal Paese, e a non avere in sostanza alcun margine di contrattazione delle condizioni di lavoro, di orario e di salario. «Nell’emirato sono impiegati oltre un milione di operai, costretti a lavorare anche per 16 ore con temperature di 50 gradi all’ombra – denunciano i segretari di Feneal, Filca e Fillea Vito Panzarella, Domenico Pesenti e Walter Schiavella –. Oltre la metà di queste morti è dovuta a infarto per le dure condizioni di lavoro e ambientali, ma se non si interviene di qui al 2022 le morti potrebbero superare le 4mila. Un fiume di sangue innocente che rischia di trasformare una festa dello sport in una delle più grandi stragi di innocenti». Il governo del Qatar ha sempre respinto le accuse e contesta le cifre sui morti. In due anni, però, sono stati segnalati 900 decessi alle ambasciate di India, Nepal e Bangladesh, di cui la metà classificati come «improvvisi», di «natura sconosciuta» o per «arresto cardiaco» e le federazioni sindacali mondiale (Bwi) ed europea (Fetbb) dell’edilizia sospettano che dietro queste cifre si celino morti per sfinimento di lavoratori sfruttati.«Ogni grande evento sportivo comporta purtroppo un "sacrificio" umano. Certo, da qui ai prossimi sette anni se le cifre odierne sono quelle (1.200 morti), viene il terrore che si possa aggiungere uno zero in più, e a quel punto saremmo dinanzi a una catastrofe epocale», commenta da parte sua il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury. «Noi di Amnesty siamo stati i primi a denunciare questo massacro, le condizioni disumane, ambientali e organizzative, in cui lavorano queste masse di migranti, che spesso diventano dei clandestini privi della benché minima assistenza da parte dei propri consolati di stanza a Doha. La nostra delegazione ha chiesto al governo qatariota di rivedere le norme vigenti in materia di diritto del lavoro. Risultato? Hanno incaricato uno studio legale che ha prodotto su due piedi un lavoro di mere raccomandazioni, peraltro blande e ancora inattuate». Amnesty registra solo una certa sensibilità mostrata dal governo mondiale del calcio, la Fifa. «Ora però – conclude Noury – dobbiamo capire quale sia il grado di corresponsabilità tra il Qatar e la Fifa, la quale si è fatta ammaliare dalla cortina fumogena di un Paese moderno e dagli impianti all’avanguardia, ma che intanto continua a non rispettare i diritti umani. E ancora più interessante, sarà indagare in merito alle responsabilità dei governi di India e Nepal che registrano il maggior numero di vittime tra i lavoratori dei cantieri dei Mondiali, senza che vi siano notizie di manifestazioni significative».