Mondo

Lo scandalo. Qatar, il pallone avvelenato

Luca Miele venerdì 22 maggio 2015
L’inchiesta era diretta come un pugno e ha avuto il merito di alzare il velo su una realtà drammatica: la corsa del Qatar verso i Mondiali di calcio 2022 si fonda sullo sfruttamento sistematico dei lavoratori stranieri. In una parola, in quella che il quotidiano britannico The Guardian nel 2013, ha bollato come «schiavitù moderna». A distanza di due anni, le promesse del Paese di porre dei rimedi si sono rivelate evanescenti. Inconsistenti. La denuncia arriva da Amnsty International in un documento dal titolo trasparente: “Hanno promesso poco, realizzato ancora di meno: il Qatar e le violazioni dei diritti dei lavoratori migranti”. Lo studio presenta «una valutazione basata su nove parametri riguardanti altrettanti diritti fondamentali dei lavoratori migranti». Ebbene su cinque i progressi sono stati assai limitati, rispetto agli altri quattro non c’è stato alcun miglioramento.  «Il Qatar non sta rispettando i diritti dei lavoratori migranti. Un anno fa il governo si era impegnato a migliorarli ma di fatto non c’è stato alcun passo avanti», ha tagliato corto Mustafa Qadri, ricercatore sui diritti dei migranti nei Paesi del Golfo persico. Negli ultimi 12 mesi – fa sapere la Ong – poco è cambiato dal punto di vista delle leggi, delle politiche e della prassi quotidiana per gli oltre 1.500.000 lavoratori migranti presenti in Qatar. Chiamati a un’impresa titanica. Il Paese spenderà 100 miliardi di dollari in progetti di infrastrutture finalizzate ad ospitare la Coppa del Mondo. Oltre alla edificazione di nove stadi, sono previsti investimenti di 20 miliardi di dollari per la costruzione di nuove strade, di 4 miliardi per una via che collegherà il Qatar al Bahrain, di 24 miliardi per una rete ferroviaria ad alta velocità e per allestire 55mila camere d’albergo per ospitare i tifosi stranieri. Tutto questo però verrebbe eretto sullo sfruttamento sistematico e «schiavistico» della manodopera straniera, che costituisce il 90 per cento di quella utilizzata (il 40 per cento arriva dal Nepal). Secondo l’inchiesta del Guardian, ai lavoratori stranieri per mesi non è stata data alcuna ricompensa, a molti sono stati sottratti i documenti, riducendoli di fatto alla condizione di clandestini. Non solo: le condizioni di lavoro sono proibitive, quella ambientali al limite della sopravvivenza. Tanto da provocare, in molti casi, la morte dei lavoratori. Uno al giorno, nel periodo monitorato dal quotidiano britannico. L’ambasciatore nepalese in Qatar, Maya Kumari Sharma, ha recentemente descritto l’emirato come un «carcere a cielo aperto». E da allora, poco o nulla sarebbe cambiato.  Secondo Amnesty, «molti migranti intervistati nei mesi scorsi hanno continuato a lamentare il ritardato o il mancato versamento del salario. Il Qatar ha inoltre mancato l’obiettivo di avere 300 ispettori del lavoro in servizio entro la fine del 2014. Vi sono stati solo limitati progressi nell’adozione di misure per migliorare la sicurezza nei cantieri, nella regolamentazione delle agenzie di reclutamento che sfruttano i lavoratori migranti e nell’accesso alla giustizia per le vittime di sfruttamento sul lavoro».  Ranjith, un lavoratore migrante dello Sri Lanka, non riceve il salario dal momento del suo arrivo, cinque mesi fa. Non ha documenti d’identità né un contratto. Alloggia in un campo per lavoratori nell’area industriale, affollato e malsano. «Voglio solo lavorare e guadagnare qualcosa per mia moglie e i miei figli ma a causa del mio sponsor non posso cambiare lavoro. Se vado dalla polizia mi arrestano e mi espellono perché non ho i documenti», ha raccontato l’uomo ad Amnesty.