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Ucraina. Putin in Crimea chiude i conti con i tatari

Nello Scavo domenica 23 aprile 2023

Cerimonia a Sebastopoli per celebrare il novo anniversario dell’annessione alla Russia della Crimea

Mentre Mosca respinge le accuse per le deportazioni di bambini ucraini, c’è un altro piano che Vladimir Putin sta provando a completare. Dal 2014, dopo l’annessione unilaterale della Crimea, è in corso il tentativo per la definitiva eliminazione dei tatari dalla Crimea. Aveva cominciato Stalin, ma il conflitto in corso ha fornito il pretesto al Cremlino per chiudere i conti con una delle minoranze che la Russia non è mai riuscita ad addomesticare. «I tatari, in particolare quelli che si oppongono all’annessione illegale della Crimea o che esprimono dissenso, sono soggetti a numerose e gravi violazioni dei diritti umani, persecuzioni, discriminazioni e stigmatizzazioni da parte delle autorità di occupazione russe».

La conferma arriva dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovi , secondo cui le autorità russe si sentono incentivate «dalla prevalente cultura di impunità per tali violazioni ». Il caso simbolo è quello di Nariman Dzelyal, vice capo dell’organo rappresentativo dei tartari di Crimea, il Mejlis. Sette mesi dopo l’inizio della guerra è stato condannato a 17 anni di reclusione dalla Corte Suprema di Crimea, con l’accusa di aver contribuito al sabotaggio di un gasdotto. I prigionieri politici di etnia tatara sono almeno 200, sebbene le autorità crimeane non forniscano conferme né smentite. Dzelyal continua a respingere le accuse rivolte alla minoranza perseguitata da Mosca. Esaminando il caso giudiziario che lo vede condannato alla prigione Amnesty International ha definito illegittima la sentenza. L’avvocato di Dzelyal, Nikolai Polozov, ripete che il caso caso è «senza dubbio motivato politicamente».

La minoranza continua a essere esposta «a una serie infinita di violazioni dei diritti umani», denuncia il Consiglio d’Europa, organismo di cui la Russia è parte ma da cui è stata temporaneamente sospesa. L’annessione illegale della Crimea «ha messo in moto una tragica sequenza di eventi e misure caratterizzate da gravi e ripetute violazioni dei diritti umani » , aggiunge il commissario Mijatovi . Le autorità installate da Mosca impediscono l’accesso agli osservatori indipendenti, ostacolando l’acquisizione di notizie dirette. «I meccanismi internazionali di monitoraggio dei diritti umani e le organizzazioni umanitarie dovrebbero avere accesso sicuro e senza ostacoli a tutti i detenuti, compresi i tatari di Crimea», si legge nel report di Strasburgo, che fa appello affinché «i trasferimenti di detenuti dalla Crimea ai centri di detenzione in Russia - una pratica che è in contrasto con il diritto umanitario internazionale - dovrebbero cessare immediatamente».

Secondo alcuni resoconti storici, tra il 1917 e il 1933 circa 150 mila tatari vennero uccisi o costretti a lasciare la loro terra. La persecuzione è culminata con l’ordine di deportare l’intera minoranza. Nel maggio 1944 per ordine di Stalin quasi 200 mila tatari di Crimea furono trasportati con la forza in treni bestiame chiusi, senza cibo né acqua e in condizioni insalubri. Destinazione: Siberia, Asia Centrale e Monti Urali. Una rappresaglia per il presunto tradimento o la collaborazione di alcuni tartari antisovietici con il regime nazista durante la Seconda guerra mondiale. All’epoca la maggior parte degli uomini appartenenti alla minoranza era ancora in servizio militare, perciò la stragrande maggioranza dei deportati (oltre l’86%) era costituita da anziani, veterani di guerra, donne e bambini.

Quasi 8 mila persone morirono durante il processo di deportazione, il resto lo fece la durezza delle condizioni di vita nei centri di reinsediamento, mentre in Crimea le moschee dei tartari venivano distrutte e i toponimi cancellati. Le stime sul numero complessivo della popolazione tartara eliminata nei primi tre anni di deportazione e reinsediamento, spesso a causa della malnutrizione, degli stenti e delle malattie, variano tra il 27% e il 46%. Fino al 1989 a nessuno dei superstiti né ai loro eredi fu permesso di tornare in Ucraina e in Crimea, fino a quando il leader sovietico Michail Gorba ëv riconobbe i tatari di Crimea come «popolo represso», deportato illegalmente.

I tartari iniziarono a tornare nelle terre d’origine dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina nel 1991, dove hanno istituito il Mejlis, che fino alla nuova invasione russa ha agito come riferimento per i tatari. Un organismo che oltre a facilitare il rientro dei figli della deportazione, lavorava per ristabilire i diritti e l’autodeterminazione della minoranza, di nuovo minacciata dopo l’annessione unilaterale dichiarata da Putin nel 2014. Ma in Crimea si trovano anche diverse decine dei minorenni che l’Ucraina indica come “deportati” dalle forze russe e che sono alla base del mandato di Cattura per Putin convalidato dai giudici della Corte penale internazionale.

Olha Yerokhina, portavoce dell’Ong ucraina “Save Ukraine”, che aiuta a rintracciare e riportare in patria i bambini ucraini, ha dichiarato al Kyiv Independent che la Russia ha iniziato le deportazioni di massa dei bambini dagli insediamenti occupati degli oblast di Kharkiv e Kherson poco dopo l’inizio dell’invasione, il 24 febbraio 2022. «Tra questi bambini non so sono solo orfani, ma bimbi che hanno i genitori, così come bambini che hanno tutori legali o bambini i cui genitori sono morti durante le ostilità». La Russia, invece, sostiene che circa 744.000 bambini ucraini sono stati trasferiti volontariamente dall’Ucraina. Secondo il media indipendente russo Meduza, solo nella regione di Krasnodar, nella Russia Meridionale, oltre 1.000 bambini piccoli provenienti da Mariupol sono stati adottati da famiglie russe e trasferiti in città remote come Tyumen, Irkutsk, Kemerovo e Altai Krai. Laddove raggiungerli, identificarli e riportarli a casa sarà pressoché impossibile.