Mosca. Putin compie 70 anni: il compleanno più amaro di uno zar rimasto solo
Un murale in un blocco di appartamenti nella città di Kashira, nella regione di Mosca
C’è chi lo definisce uno zar chi, più prosaicamente, un dittatore. Oggi Vladimir Vladimirovich Putin compie 70 anni e, nonostante tutto, gode ancora del 77% dei consensi (dati dell’Istituto Levada). Per quanto il favore attorno alla sua persona possa rimanere elevato, questo è però il compleanno più difficile della sua carriera.
Un traguardo al quale il capo del Cremlino avrebbe sicuramente preferito arrivare in ben altra situazione e che, in qualche modo, rappresenta il punto basso del suo percorso politico.
Da quasi un mese, lo Stato maggiore gli sta dicendo che la guerra in Ucraina è persa e, nonostante questo, Putin ha deciso di approvare la mobilitazione parziale, che probabilmente si concluderà con decine di migliaia di persone mandate al macello. L’economia, già indebolita dalla pandemia di Covid-19, sul lungo termine verrà mandata in frantumi dalle sanzioni contro Mosca scattate a causa del conflitto. Il Paese, che ha già una grave crisi demografica da fronteggiare, adesso deve contare su oltre un milione di persone in meno, ossia quelle che sono scappate all’inizio del conflitto e dopo l’annuncio della mobilitazione parziale. Tutti aspetti che non riconducono esattamente a una storia di successo.
Eppure per una parte del popolo russo rimane un riferimento. Sono tanti i fattori da esaminare per comprendere questa approvazione, primo fra tutti il fatto che il presidente russo non ha mai avuto competitor reali con cui confrontarsi. L’unico che ci ha provato, Alexeij Navalny, si trova in carcere e ci rimarrà per altri 11 anni.
Putin è colui che, agli occhi dei russi, ha portato nel Paese un’epoca di sviluppo e stabilità dopo gli anni turbolenti seguiti alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e sotto la guida di Boris Eltsin. Quel giovane funzionario, la cui biografia è stata ampiamente romanzata affinché appaia come uno che “veniva dal basso”, era stato percepito come un elemento di rottura rispetto ai decenni precedenti, fatti di leader imposti dal Pcus, nel solco della tradizione comunista. Quello con cui non avevano fatto i conti, è che quell’ufficiale dei servizi segreti, non lo avevano scelto loro, ma era stato nominato da Eltsin come suo successore. In più, Putin aveva messo da parte la componente ideologica ispirata al marxismo, ma teneva ancora bene a mente la componente sovietista e a partire dal 2012 a iniziato a concepire sempre di più la politica estera nazionale con la testa di un uomo del mondo di ieri.
I russi non si sono resi conto di questo cambio di passo, o meglio, lo hanno interpretato esattamente come il loro leader, ossia come Mosca che, dopo una breve parentesi, tornava a prendersi il suo posto nel mondo. Ma, nel frattempo, erano cambiate sia la Russia, sia la scena internazionale.
Un mondo multipolare, nel quale Putin voleva incidere al di sopra delle possibilità offerte dal suo Paese e che adesso rischia di trascinare, tutto quanto, nell’abisso ucraino. Gli anni della seconda guerra in Cecenia, della guerra-lampo in Georgia, dell’annessione della Crimea tramite la guerra non lineare sono lontani. Così come lo è la dolce vita nelle grandi città del Paese e quella parvenza di maggiore prosperità economica, della quale però ha goduto realmente solo una minoranza della popolazione, ossia quella più vicina al presidente. Anche Putin è cambiato. Da leader freddo e cinico, che sembrava avere sempre tutto sotto controllo, si è trasformato in un presidente solo, che ha imboccato il viale del tramonto e la cui fine sarà probabilmente decretata da quel cerchio magico che per anni ha garantito il suo potere. Non certo dal suo popolo.