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Afghanistan. I progressi del Paese e la tentazione-passato: il dilemma per i taleban

Camille Eid mercoledì 1 settembre 2021

Una foto emblematica: il giornalista guardato a vista dai taleban armati. E' accaduto il 29 agosto

Gli Stati Uniti hanno dato l’annuncio dell’avvenuto ritiro e il portavoce dei taleban ha dichiarato l’indipendenza completa dell’Afghanistan. Ma la festa, celebrata con fuochi d’artificio e con l’ingresso nell’aeroporto di Kabul di 250 soldati del loro corpo d’élite dotati di equipaggiamenti ultrasofisticati, non nasconde una triste verità: i nuovi padroni non sono in grado di gestire le infrastrutture e i servizi del Paese.

A meno che – ma sarebbe un vero e proprio suicidio – non decidano di riportarlo di vent’anni indietro, ai tempi del primo Emirato.

L’Afghanistan, nonostante le gravi carenze di cui soffre ancora – e che lo collocano tra i Paesi meno sviluppati del pianeta – ha registrato miglioramenti significativi nei due decenni di “occupazione” grazie alla pioggia di investimenti internazionali e alla sincera dedizione di decine di Ong straniere.

I dati diffusi dalle organizzazioni che lavorano sul campo mostrano progressi nella copertura sanitaria, nelle infrastrutture e nell’istruzione. Il miglioramento è particolarmente tangibile in termini di mortalità infantile. Nel 2001, 87 bambini sono morti prima del loro primo compleanno per ogni 1.000 nati, e 124 prima dei cinque anni. L’ultimo rapporto, che risale al 2018, riduce tali cifre rispettivamente a 46 e 60. Anche la dissenteria è diminuita del 43,1% tra il 2009 e il 2019.

Sul fronte dell’istruzione, donne e ragazze avevano di nuovo accesso all’istruzione. La scolarità dei minori è passata dallo 0% nel 2001 al 77,7% solo due anni dopo, secondo i dati raccolti dalla Banca Mondiale. E il dato non ha smesso di crescere fino ad arrivare all’82,9% nel 2018, ultimo dato registrato. Lo stesso dicasi della rete stradale e delle altre infrastrutture. Nel 2002 solo il 6,3% della popolazione aveva accesso alla copertura elettrica, mentre nel 2016 la copertura ha raggiunto l’84,1%. Un dato, quest’ultimo, molto significativo dal momento che la maggior parte della popolazione vive in aree rurali e solo il 25% vive in città.

Ultima conquista nelle telecomunicazioni, diventate irrinunciabili per gli stessi capi taleban, che usano volentieri tivù e social network per diffondere i propri comunicati. Nel 2019 si contavano 39,4 milioni di linee di telefonia mobile rispetto ai 2,1 milioni del 2006.

Come faranno i taleban a occuparsi di tutto questo, sapendo che molti cervelli sono fuggiti dal Paese con i voli di evacuazione lasciando una grande lacuna di conoscenza? Dai funzionari ai tecnici passando per scienziati e avvocati, dagli ingegneri agli esperti di reti e comunicazione. Gli esperti sono certi che, con gli studenti coranici di nuovo al potere, questi progressi saranno invertiti.

La questione si è posta quasi subito riguardo la gestione dell’aeroporto di Kabul. Il portavoce dei taleban ha detto ieri che il nuovo governo cercherà di gestire tutto in autonomia, ma che in caso di necessità si affiderà all’assistenza offerta da altri Paesi. Per l’aeroporto si parla già di Turchia, ma è chiaro che altre proposte di altri Paesi riguarderanno nuovi settori. L’indispensabile assistenza, se giocata di concerto dalla comunità internazionale, potrà salvaguardare i diritti recuperati negli ultimi due decenni, da quelli della donna all’istruzione e al lavoro, ai diritti delle minoranze.

Ma qui è anche richiesta una buona dose di pragmatismo. Un vero dilemma per i taleban, indottrinati nelle madrassa su un «sistema di valori» inderogabile. Soprattutto, quando andare avanti nella linea pragmatica significa portare nuova linfa ai nemici del Daesh Khorasan, pronti come sempre a screditarli come buoni musulmani.