Il processo storico. L'Italia condanna il Piano Condor
«Non è la sentenza che ci saremmo aspettati. Ma noi abbiamo vinto comunque. Fin da quando l’Italia ha deciso di farsi carico della sofferenza dei suoi connazionali d’Oltreoceano. E dei loro familiari. Il sostegno che questo Paese ci ha offerto è stato straordinario. Nessun ringraziamento sarà mai abbastanza». Margarita Maino è commossa. E’ arrivata da Santiago del Cile a Roma per assistere alla condanna del carnefice del fratello, Juan Bosco, desaparecido il 26 maggio di quarantun anni fa. Pedro Octavio Espinoza Bravo, il numero due della Dirección de inteligencia nacional (Dina), accusato di aver ordinato l’arresto, la tortura e l’assassinio di Maino è stato assolto, insieme ad altri 18 imputati. Ad otto, però, la III Corte di Assise ha comminato l’ergastolo. Una svolta, comunque, storica. Perché, attraverso questi, per la prima volta in Europa, è stato condannato l’intero ingranaggio perverso che stritolò la vita di 50mila latinoamericani. Il Plan Cóndor (Piano Condor), il patto stretto, negli anni Settantanta e Ottanta, dalle dittature militari di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay, Uruguay, Perù per dare la caccia insieme agli oppositori, ovunque si trovassero.
Il processo a Roma
Tra le decine di migliaia di vittime della famigerata operazione, figurano 23 cittadini italiani. Per loro, due anni e sessanta udienze fa, è cominciato il giudizio romano, concluso ieri, nell’Aula Bunker di Rebibbia. Le indagini risalgono addirittura al 1998, dopo l’arresto a Londra dell’allora ex dittatore cileno, Augusto Pinochet. Alla fine, il 12 febbraio 2015, il pubblico ministero, Giancarlo Capaldo, aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per 34 persone, tra capi di Stato, ufficiali, agenti di polizia e dei servizi segreti cileni, uruguayani, boliviani e peruviani. Lo scorso 14 ottobre, Tiziana Cugini, il pm che ha condotto la maggior parte delle udienze, aveva fatto richiesta per 27 ergastoli e un’assoluzione, quella di Ricardo Eliseo Chávez Dominguez.
Il verdetto
La Corte, presieduta dal giudice Evelina Canale, ne ha riconosciuti otto: Luis García Meda Tejada, Luis Arce Gómez, Juan Carlo Blanco, Jeronimo Hernán Ramírez Ramírez, Francisco Rafael, Valderrama Ahumada, Pedro Richter Prada e Germán Ruiz Figeroa. Altri diciannove sono stati assolti. Mentre per sei è stato stabilito il non luogo a procedere perché nel frattempo sono morti.