Ucraina. Processo a Kiev, il soldato russo: «Perdono». I pm chiedono l'ergastolo
Si è dichiarato colpevole il soldato russo, Vadim Shishimarin, 21 anni, accusato di crimini di guerra nel primo processo che si è aperto nel tribunale di Kiev dall'inizio dell'invasione di Mosca.
Alla domanda in aula se fosse colpevole delle accuse, inclusi crimini di guerra e omicidio premeditato di Oleksandr Shelipov, il sergente ha risposto "sì".
Vadim Shishimarin non solo ha descritto come ha ucciso a colpi di arma da fuoco Shelipov nei primi giorni dell'invasione russa, ma ha anche chiesto "perdono" in tribunale. "So che non sarai in grado di perdonarmi, ma comunque ti chiedo perdono", ha detto in tribunale il sergente russo ventunenne, rivolgendosi a Kateryna Shalipova, vedova del civile di 62 anni che ha ammesso di aver ucciso nel villaggio di Chupakhivka, nella regione di Sumy nel nord est dell'Ucraina, lo scorso 28 febbraio.
"Si merita l'ergastolo per aver ucciso mio marito", è stata la risposta di Kateryna Shalipova. Sebbene la pubblica accusa abbia chiesto l'ergastolo Shishimarin potrebbe essere lasciato libero e mandato in Russia se entra a far parte di uno scambio di prigionieri "con i difensori di Mariupol" in modo da salvare "i nostri ragazzi", ovvero con i centinaia di combattenti ucraini evacuati dalle acciaierie Azovstal, come ha affermato la vedova Shalipova.
Il sergente ha spiegato in tribunale di aver sparato al civile mentre lui e molti altri soldati russi si stavano ritirando per ricongiungersi alle loro unità in Russia. I soldati avevano dirottato un'auto civile, una Volkswagen, per "arrivare dove si trovava il nostro esercito e tornare in Russia", ha spiegato Shishimarin. "Durante il nostro viaggio, mentre guidavamo, abbiamo visto un uomo. Stava parlando al telefono. Ha detto che ci avrebbe denunciato", ha proseguito. Shishimarin ha affermato quindi che un altro soldato nell'auto, che ha definito un soldato "sconosciuto" che non era il suo comandante, "mi ha detto di sparare".
Prima che si aprisse il processo il Cremlino aveva negato di avere informazioni sul conto del giovanissimo sergente dell’unità 32010, quarta divisione carri della guardia Kantemirovskaja della regione di Mosca.
Reuters
L'accusa ha mostrato diversi fucili come prova e l'imputato ha riconosciuto l'arma usata. In aula è stato ascoltato un altro militare russo, Ivan Maltysev, anche lui 21enne e anche lui arresosi alle forze ucraine insieme a Shishimarin. Durante la testimonianza ha raccontato che i russi erano stati costretti a ritirarsi a piedi con alcuni loro soldati feriti confermando che il suo commilitone era stato costretto a sparare. "Non è stato Vadim a volerlo. Un soldato, di cui non conosco il nome, si è voltato in macchina e ha gridato che Vadim doveva eseguire l'ordine, altrimenti saremmo stati individuati", ha detto facendo riferimento al fatto che la vittima stesse parlando al telefono e, secondo i russi, avrebbe potuto fornire indicazioni su dove si trovavano. "A questo punto, eravamo quasi a fianco del civile e, sotto pressione, Vadim ha sparato. Ha sparato tre o quattro colpi", ha aggiunto Maltysev. Gli altri due soldati che erano in macchina con loro sono stati portati in Russia nell'ambito di uno scambio di prigionieri, ha reso noto l'avvocato.
A distanza di 24 ore altri due soldati russi, a processo in Ucraina, si sono dichiarati colpevoli di crimini di guerra. Stando a quanto riporta Sky News, sono apparsi in tribunale Aleksandr Bobykin e Aleksandr Ivanov. Entrambi sono accusati di aver bombardato con missili Grad zone dell'Ucraina abitate da civili.
Il processo, che sarà seguito da molti altri, costituirà una sorta di test per il sistema giudiziario ucraino in un momento in cui anche le istituzioni internazionali stanno conducendo delle indagini sugli abusi commessi dalle forze militari russe.
Quello che vede coinvolto il sergente Shishimarin - sospettato di aver ucciso un civile disarmato che stava andando in bicicletta nel villaggio di Chupakhivka, nella regione nordorientale di Sumy il 28 febbraio scorso - si può considerare il primo processo per crimini di guerra legato all'invasione russa in Ucraina.
Ansa
Non si fermano gli sforzi della magistratura di Kiev per raccogliere prove su oltre 9mila casi individuati finora, intanto mercoledì 11 maggio l’ufficio della procuratrice generale ucraina Iryna Venediktova ha chiuso le indagini e annunciato che presto inizierà il procedimento in aula, mentre prosegue la raccolta di elementi soprattutto sui grandi massacri di civili, Bucha su tutti.
La portata delle uccisioni illegali in Ucraina da parte delle forze russe è "scioccante": lo ha affermato l'alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet. "Queste uccisioni di civili spesso sembrano essere intenzionali", commesse da "cecchini e soldati", ha aggiunto. "Civili sono stati uccisi mentre attraversavano strade o lasciavano rifugi alla ricerca di cibo e acqua - ha proseguito l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani - Altri sono stati uccisi mentre fuggivano con i propri mezzi. Uomini del posto, disarmati, sono stati uccisi perché i soldati russi hanno sospettato sostenessero le forze ucraine o fossero una potenziale minaccia e alcuni sono stati torturati prima di essere uccisi".
Diritti umani, l'Onu apre un'indagine: perché fare giustizia sarà difficile
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato a larga maggioranza l'apertura di un'indagine sulle atrocità attribuite alle truppe russe in Ucraina. La risoluzione, adottata con 33 voti favorevoli, 2 contrari (Cina ed Eritrea) e 12 astensioni, invita la commissione internazionale dell'Onu sull'Ucraina a condurre una "indagine" sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse a Kiev, Chernihiv, Kharkiv e Sumy regioni a fine febbraio e marzo 2022.
Reuters
Il ministro degli affari esteri dell'Ucraina Dmytro Kuleba ha invitato, inoltre, il mondo a sostenere l'istituzione di un tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l'Ucraina per portare la leadership russa davanti alla giustizia. Il testo dell'appello per l'istituzione del tribunale speciale la bozza di dichiarazione preparata dal gruppo di lavoro sono stati approvati dal Ministro degli Affari Esteri di Kiev e firmati da decine di avvocati internazionali e ucraini e da ex giudici di tribunali internazionali.
Parallelamente, come già documentato da Avvenire a investigare sui crimini di guerra in Ucraina, oltre al tribunale nazionale di Kiev, sono impegnati altri due organismi differenti, ciascuno con differenti competenze: la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia. La loro competenza è complementare alla giurisdizione nazionale.
La Corte penale internazionale non è un organo di diritto dell’Onu. Tuttavia può essere attivata dal Consiglio di sicurezza Onu che ha il potere di deferire alla Corte situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione. L’Ucraina rientra tra questi casi, poiché né Kiev né Mosca (come del resto anche gli Stati uniti) hanno aderito allo Statuto di Roma, l’atto fondativo della Corte penale.
Un Paese non aderente, com'è il caso dell'Ucraina, può comunque chiedere alla Corte di intervenire impegnandosi a collaborare con l'Aja e nel caso specifico è già stata attivata la giurisdizione del Tribunale. Già nel 2014, dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia, Kiev aveva chiesto e ottenuto l'intervento della Corte penale internazionale, che dunque ha piena giurisdizione, anche in forza del deferimento di Mosca sottoscritto da 43 Stati membri, tra cui anche l'Italia.
L'istituzione con sede all'Aia lo scorso 3 marzo ha aperto un'indagine sui possibili crimini di guerra compiuti in Ucraina. Decisiva è stata la visita a Bucha del procuratore capo Karim Khan: l'intero territorio è "una scena del crimine" dove "abbiamo motivi ragionevoli - aveva dichiarato Khan - per credere che vengano commessi crimini all'interno della giurisdizione del tribunale".
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La Corte internazionale di giustizia è, invece, l’organo giudiziario dell'Onu, ma non si occupa di crimini commessi da singoli, quanto di dirimere i contrasti tra gli Stati. Proprio a questo organismo l’Ucraina ha chiesto di accertare, in punto di fatto e di diritto, due significative situazioni di rilevanza giuridica: la prima, che l’Ucraina non ha compiuto atti di genocidio contro la popolazione del Donbass. La seconda, che l’uso unilaterale della forza per la repressione di atti di genocidio non è previsto tra i mezzi consentiti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Come ha spiegato Maurizio Delli Santi dell'Associazione Italiana Giuristi Europei in un suo contributo ospitato sul quotidiano Domani, la Russia si è però rifiutata di intervenire in giudizio e ha presentato una memoria in cui ha contestato invano la competenza della Corte, chiedendo di «non indicare misure provvisorie e rimuovere questo caso dalla sua lista».
Il massimo collegio delle Nazioni Unite ha però emesso l’Order-Ukraine c. Russian Federation lo scorso 16 marzo con 13 voti a favore, contrari solo il vicepresidente russo Kirill Gevorgian e il giudice cinese Xue Haqin. Di fatto, deliberando «allo stato degli atti» che non sussistono elementi per configurare un genocidio perpetrato dall’Ucraina in Donbass e di più che ai sensi della Convenzione sul genocidio del 1948, per prevenire un genocidio è illegittimo il ricorso unilaterale della forza, come ha fatto la Russia, poiché gli Stati «possono ricorrere agli organi competenti delle Nazioni Unite per intraprendere le azioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite». Conseguentemente, la Corte ha disposto che la Federazione Russa: «sospenda immediatamente le operazioni militari avviate il 24 febbraio».
Per quanto le decisioni di entrambi gli organismi giudiziari internazionali possano avere un importante valore politico e simbolico, va ricordato, purtroppo, che non esiste un meccanismo coercitivo che faccia sì che le sentenze o le eventuali condanne, che pure hanno tempi molto lunghi (basti pensare che dalla guerra del 1992 in ex Yugoslavia si è arrivati al 2017 per l'ultimo atto del tribunale dell'Aja, ndr), vengano poi effettivamente applicate. Altra critica molto forte rivolta alla giustizia transnazionale riguarda la lentezza del suo agire dovuta soprattutto al fatto di dipendere, per le indagini, dalla buona volontà degli Stati, quegli stessi Stati dove i presunti criminali – o persone a loro molto vicine – sono rimasti a lungo saldamente al potere.