È dalle sconfinate distese cerealicole dell’Iowa che tutto comincia e tutto può finire. Perché è da questo Stato che prende il nome da una tribù degli indiani Sioux e ha dato i natali a John Wayne che parte oggi la lunga corsa delle primarie repubblicane, una corsa che potrebbe rivelarsi beffardamente breve per quei candidati destinati a finire ai margini del podio.Il Grand old party (Gop) cerca lo sfidante per le presidenziali di novembre, colui che sarà chiamato ad unire le tante anime del partito per fronteggiare un Barack Obama sfiancato dalla crisi economica ma pronto a dare battaglia. E se è vero che chi ha vinto in Iowa non sempre è arrivato in fondo alla gara (Mike Huckabee nel 2008, il democratico Tom Harkin nel 1992), la scrematura impietosa dei locali caucus è destinata a sgomberare il campo dalle mezze figure, lanciando in orbita i «veri» contendenti.È quello che i media americani celebrano come il «momentum», lo slancio, l’attimo fuggente che può attirare gli indecisi dell’ultima ora verso chi farà passare in maniera più incisiva il suo messaggio. Sarà il multimiliardario Mitt Romney, forse l’unico davvero in grado di battere Obama a livello nazionale ma anche il meno amato dalla base conservatrice? Oppure Ron Paul, il «libertario» oppositore dei neocon che punta ad abolire la Federal Reserve? O, ancora, Rick Santorum, il campione degli integralisti religiosi che guarda all’Iowa come a un’ancora di salvezza dopo mesi di campagna elettorale ai margini della gran carovana?Gli ultimi sondaggi, dopo mesi di spot e dibattiti in tv, danno Romney al 24 per cento, Paul al 22, Santorum in forte ascesa al 18. E poi via via gli altri: al 15 per cento l’ex speaker della Camera Newt Gingrich, al 10 il governatore del Texas Rick Perry, mentre in grave ritardo ci sono Michele Bachmann, la star antitasse dei Tea Party, che con il 7 per cento ha invocato «un miracolo divino», e l’ex ambasciatore in Cina Jon Huntsman, fermo al 3 per cento e già impegnato a cercare la rivincita in New Hampshire, prima di una resa onorevole.Chi rischia di più, probabilmente, è Gingrich, che dopo aver guidato i sondaggi a livello nazionale fino a Natale, ora vede perdere consensi. E se è vero che in South Carolina e Florida – terzo e quarto Stato in cui il Gop andrà a votare – l’ex speaker è ancora davanti a tutti, perdere male oggi in Iowa e martedì prossimo in New Hampshire vorrebbe dire forse rimetterci definitivamente il «momentum». Romney, da parte sua, è fiducioso che dall’Iowa verrà la sua consacrazione. «Non so dirvi chi vincerà questa tappa – è stata una delle sue dichiarazioni della vigilia – ma credo che riceverò un grande sostegno e questo mi darà la spinta di cui ho bisogno all’inizio di una serie di sfide in tanti altri Stati». Nei giorni scorsi una rilevazione di Rasmussen Reports ha indicato che Romney ha un vantaggio su Obama a livello nazionale di sei punti percentuali, mentre tutti gli altri candidati del Gop verrebbero sbaragliati dall’attuale presidente. Ovvio che la strada è ancora lunghissima e un eventuale miglioramento dell’economia potrebbe giovare a Obama, ma al momento l’establishment repubblicano punta proprio sull’ex governatore del Massachusetts per tornare a occupare la Casa Bianca.Questi, però, sono discorsi sul futuro mentre qui e ora, in quel granaio d’America chiamato Iowa, contano le promesse dei candidati agli agricoltori sfiancati dalla concorrenza straniera e le rassicurazioni all’elettorato cristiano conservatore. Quasi la metà degli elettori è ancora indecisa e sceglierà il proprio candidato solo nel corso delle 1.700 assemblee sparse in giro nello Stato, con un bizzarro sistema elettorale ispirato dalle tradizioni degli indiani nativi. Domani, poi, sarà già tempo per i primi bilanci, per le conferme, le sorprese e le cocenti sconfitte di chi un giorno si è illuso di arrivare fino alla Casa Bianca.