La Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, non si occupi delle regole sugli scambi di merci che riguardano un diritto fondamentale come l’accesso al cibo. Nella Giornata mondiale dell’alimentazione, il Forum Roma delle Ong di ispirazione cattolica punta il dito contro una delle principali cause della fame nel mondo. Quella speculazione finanziaria che dal 2007 a oggi ha fatto impennare i prezzi dei cereali, cresciuti del 170%. «Sintomo evidente della distorsione – dice il direttore della Focsiv Sergio Marelli – è che di questi aumenti non ne hanno beneficiato affatto i produttori, che nei Paesi in via di sviluppo sono il 75% della popolazione». Durissimo il giudizio di don Franco Appi, docente alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna: «Una speculazione che diventa non solo immorale, ma addirittura un abominio che urla vendetta al cospetto di Dio».A riflettere sulle cause umane del dramma di un miliardo di persone è il seminario delle Ong cattoliche tenutosi presso la Fao, l’agenzia Onu che ha posto come tema della Giornata proprio l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Vincenzo Conso, coordinatore del Forum Roma delle Ong, ricorda che «tra il 2005 e il 2008 i prezzi mondiali degli alimenti di base hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi 30 anni e sembra ormai maturata una loro tendenza alla volatilità». «Il problema della fame è tragico in sé – ragiona Marelli – ma ha un peso sproporzionato nella sua geografia. La volatilità dei prezzi è devastante nel Sud del mondo dove il 70% del reddito delle famiglie viene speso per il cibo, contro un 20% nei Paesi ricchi». Se l’impennata dei prezzi non ha arricchito i produttori del Sud, significa che c’è qualcun altro che ci specula: «Quando è cominciata nel 2007 la crisi immobiliare, su mutui e assicurazioni, c’è chi ha deciso di finanziarizzare il settore agricolo. La speculazione non è l’unica causa della volatilità dei prezzi, ma è quella prevalente: i cicli agricoli sono lunghi e due picchi in pochi anni sono del tutto anomali». Se sulle altre cause della fame è più complesso intervenire, sulle variazioni di mercato si può incidere efficacemente. «Queste speculazioni non vanno regolate o tassate. Vanno vietate, punto e basta».Concorda don Franco Appi, assistente ecclesiastico dell’Icra (International catholic rural association), membro del Forum : «Il primo segnale dell’attuale crisi, finanziaria nella sua origine, è stata proprio la speculazione sulle derrate». Eccoli i «meccanismi perversi» denunciati dalla Sollicitudo Rei Socialis. Don Appi sottolinea che per fronteggiare le crisi c’è anche la strada delle scorte strategiche: «Un tempo in Italia si faceva l’ammasso granario, polmone e volano per calmierare il mercato. A fronte di un artificioso rialzo dei prezzi del greggio – ricorda l’assistente dell’Icra – i Paesi produttori di petrolio possono reagire aumentando l’estrazione. Se una multinazionale accaparra grano e ne aumenta il prezzo, nessuno può reagire per un lungo periodo: l’agricoltura segue il ritmo naturale dei raccolti». Oggi un carico di grano può essere venduto e comprato più volte durante il viaggio di un mercantile nell’oceano.E a proposito di produttività, dal Forum arriva un no secco a chi scommette sui cereali geneticamente modificati. «Oggi il problema della fame non è la produttività – spiega Sergio Marelli – se la Fao dice che c’è cibo per 9 miliardi. Il nodo è nell’accesso e nella distribuzione. Non servono certo al Sud del mondo gli Ogm pubblicizzati come resistenti a parassiti e siccità. Le varietà locali di semi resistono da 40 mila anni, è sulle biodiversità che bisogna puntare, non su monoculture Ogm che, guarda caso, producono cereali sterili». Per la semina dell’anno dopo, insomma, il contadino che usa Ogm non può più conservare un sacco di granaglie, ma dovrà ricomprarle ogni anno dalla multinazionale: «Gli Ogm rendono gli agricoltori dipendenti – avverte Marelli – e distruggono le varietà locali perché sono contaminanti e modificano le coltivazioni vicine».Pericolose anche le monocolture cerealicole per gli agrocarburanti: «Tolgono cibo al mondo, aumentando la domanda, per produrre energia a costi comunque elevatissimi. Non per i lampioni di Nairobi, ma per le nostre automobili. Attenzione, la
green economy non è tutto oro». Quello che serve allora sono investimenti ecosostenibili. Un esempio arriva dal Costa Rica. Al seminario del Forum delle Ong, l’ambasciatore presso la santa Sede e la Fao, Fernando Felipe Sanchez Campos, racconta che entro il 2015 il suo sarà il primo Paese a emissioni zero, anche grazie alle foreste e all’idroelettrico. «Certo, questi grandi investimenti richiedono scelte. Noi – ammette – abbiamo rinunciato alle Forze Armate».