Medio Oriente. Per gli Stati Uniti l'Iran è pronto ad attaccare dentro Israele
Il conto alla rovescia è partito venerdì. Gli Stati Uniti si aspettano che l'Iran effettuerà «attacchi contro molteplici obiettivi all'interno di Israele» in risposta al raid israeliano sul consolato di Damasco e che nell'operazione «potrebbero essere coinvolti alleati di Teheran». Lo hanno riferito alla Cnn un alto funzionario dell'amministrazione Biden e una fonte vicina all'intelligence Usa. Non è dunque più questione "se" ci sarà l'attacco, ma "quando". Con il rischio di un'escalation dagli esiti preoccupanti e imprevedibili su tutto il Medio Oriente.
L'intelligence americana ha in mano elementi concreti: gli osservatori sul campo hanno notato lo spostamento di "asset militari", chiara intenzione di mobilitazione delle forze armate di Teheran in vista di un'offensiva che potrebbe essere massiccia: si parla di un centinaio di missili già "armati" per colpire Israele. L'esercito di Tel Aviv ovviamente in stato di massima allerta e si dice pronto ad affrontare qualsiasi scenario. E, prevedibilmente, a reagire a sua volta.
Sono ore febbrili, con le diplomazie al lavoro per scongiurare lo scontro, mentre anche papa Francesco ha lanciato il suo appello: «Fermatevi». Il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry hanno avuto una conversazione telefonica durante la quale hanno discusso degli «sforzi multilaterali per promuovere la stabilità regionale» ha reso noto il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller. Blinken «ha ribadito che un'escalation da parte dell'Iran non andrebbe a beneficio di nessuno nella regione». I due hanno discusso degli sforzi in corso per aumentare l'assistenza umanitaria nella Striscia di Gaza, proteggere i civili palestinesi e raggiungere un cessate il fuoco immediato che assicuri il rilascio di tutti ostaggi.
La situazione di alta tensione ha spinto anche il ministro degli esteri Antonio Tajani a tenere un contatto costante e diretto con le ambasciate italiane in Medio Oriente. La Farnesina invita i connazionali a evitare viaggi nella regione.
Agli americani che chiedevano a Teheran di tenere le armi nella fondina, gli ayatollah hanno risposto suggerendo agli Usa di stare fuori dalla contesa con Israele. Da Washington hanno replicato mettendo in chiaro «che noi faremo quello che dobbiamo per proteggere il nostro popolo e le nostre installazioni, come è appropriato». Tradotto: la reazione iraniana all’attacco israeliano contro l’ambasciata di Teheran in Siria deve limitarsi a obiettivi “accettabili”, come strutture militari israeliane e in alcun modo mettere a rischio i civili e il dispositivo militare statunitense in tutta l’area. A tal punto che il presidente Biden, secondo fonti militari Usa, ha chiesto a Israele che gli Stati Uniti abbiano voce in capitolo prima che vengano prese decisioni su qualsiasi ritorsione contro Teheran.
E una conferma indiretta è arrivata da Hamas, che ha comunicato di non voler proseguire i negoziati per la liberazione degli ostaggi e un cessate il fuoco. Il quotidiano libanese Al-Akhbar, considerato vicino ad Hezbollah, ha scritto che «la leadership di Hamas ha informato i mediatori di non essere interessata ad ulteriori discussioni sull’accordo, finché non ci saranno progressi nelle sue richieste per la fine della guerra e il ritiro dell’esercito dalla Striscia di Gaza». Un congelamento che molti osservatori sul terreno indicano come funzionale all’escalation militare Iran-Israele.
Un tentativo estremo è stato compiuto anche da Papa Francesco, con un messaggio al mondo musulmano per la fine del Ramadan e ai capi delle nazioni. «Dio è pace e vuole la pace. Chi crede in Lui - ha detto il Papa al network al Arabiya - non può che ripudiare la guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti. La guerra, non mi stanco di ripetere, è sempre e solo una sconfitta: è una via senza meta; non apre prospettive, ma estingue la speranza». Perciò il Pontefice ha ribadito di sentirsi «angosciato per il conflitto in Palestina e Israele: cessi subito il fuoco nella Striscia di Gaza, dove è in corso una catastrofe umanitaria; possano arrivare gli aiuti alla popolazione palestinese che soffre tantissimo; si rilascino gli ostaggi rapiti a ottobre!». Poi un ammonimento: «Penso alla martoriata Siria, al Libano, a tutto il Medio Oriente: non lasciamo che divampino le fiamme del rancore, sospinte dai venti funesti della corsa agli armamenti! Non lasciamo che la guerra si allarghi! Arrestiamo l’inerzia del male!». Il dolore e il futuro dei popoli è nelle mani dei leader. Ed è a loro che Papa Francesco si rivolge: «A chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni: basta, fermatevi! Per favore, fate cessare il rumore delle armi e pensate ai bambini, a tutti i bambini, come ai vostri stessi figli». Quei bambini che «hanno bisogno di case, parchi e scuole, non di tombe e fosse!».
Le preoccupazioni per una minaccia «reale e fattibile» sono state espresse dal portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, senza fornire dettagli sui tempi dell’operazione militare, data però per imminente. Fonti riservate citate dal New York Times hanno spiegato che il regime degli ayatollah sta facendo il possibile per tenere coperte le informazioni, puntando non sull’effetto sorpresa, ma lasciando aperte numerose opzioni così da tenere le forze armate israeliane impegnate a prevenire una vasta gamma di opzioni, così da poter poi puntare su qualche smagliatura.
Già in mattinata tutte le principali cancellerie sembravano rassegnate. Numerosi Paesi occidentali hanno invitato i propri connazionali a non intraprendere viaggi verso Israele, Palestina e Libano. Il ministro degli Esteri italiano ha fatto sapere di una «lunga telefonata con il ministro degli Esteri dell’Iran sul Medio Oriente. Ribadita la posizione del governo in favore della pace e per la de-escalation. Ho esortato Teheran alla moderazione – ha spiegato Antonio Tajani sui social network –. Confermata la necessità di garantire l’incolumità delle forze militari italiane in Libano e delle nostre navi mercantili nel Mar Rosso».
All’Iran dunque sono state poste condizioni perché l’attacco contro Israele non innescasse eventi a catena dagli effetti incontrollabili. «I nostri nemici pensano di poter dividere Israele e gli Stati Uniti, ma è vero il contrario», ha rimarcato in serata il ministro della Difesa di Tel Aviv, Yoav Gallant, che davanti a una ipotesi data ormai per ineluttabile ha rassicurato la popolazione: «Siamo pronti a difenderci a terra e in aria, in stretta collaborazione con i nostri partner, e sapremo come rispondere». Le forze armate israeliane (Idf) e il Mossad, il servizio segreto per le operazioni all’estero, hanno approvato i piani per una risposta militare.
Israele e Usa avevano mostrato di essere d’accordo nel ritenere che un attacco iraniano, se diretto verso il territorio di Israele, sarebbe stato scatenato con diversi ordigni aerei per tentare di superare la barriera difensiva “Iron Dome”. In caso di attacchi simultanei da più lati e con diverse tipologie di arma, la “cupola d’acciaio” israeliana soffrirebbe le raffiche simultanee. Secondo l’intelligence occidentale Teheran stava pianificando il lancio di missili balistici, missili da crociera e droni d’attacco.
Tre diversi funzionari statunitensi hanno affermato ai media Usa che negli ultimi giorni gli iraniani hanno dichiarato a diversi governi arabi di ritenere gli Stati Uniti corresponsabili dell’attacco israeliano che ha ucciso nella sede diplomatica iraniana a Damasco un generale e sei ufficiali dei Pasdaran.
Nel corso di tutta la giornata gli Hezbollah dal Libano hanno impegnato la difesa israeliana con lanci di almeno 40 razzi e incursioni di droni esplosivi, mentre a Gaza sono stati segnalati oltre 14 civili uccisi e un imprecisato numero di miliziani armati nel corso di scontri con i battaglioni israeliani sostenuti da bombardamenti via mare. Niente che faccia pensare alla volontà di far posto alla diplomazia.