Il voto. Boric e Kast si giocano il nuovo Cile. Va alle urne il duello più polarizzato
Plaza Italia, l'epicentro delle proteste del 2019, addobbata per le elezioni
Non un cambio di governo, bensì di paradigma. Le elezioni presidenziali di oggi rappresentano – almeno in base alle ultime rilevazioni – una rivoluzione copernicana nella politica del Cile post-dittatura. Un «punto di inflessione», l’ha definita l’esperto Peter Siavelis, dell’Università di Wake Forest. Per la prima volta dal ritorno della democrazia nel 1990, il Paese sembra deciso ad archiviare la stagione della Transizione. Con tale termine viene sintetizzato il processo che ha messo fine in modo incruento al regime di Augusto Pinochet, ripristinato le libertà civili e politiche e avviato una fase di crescita economica, seppur ancora troppo concentrata a favore dell’élite. Proprio la diseguaglianza è stata il motore della rivolta del 2019. La piazza, allora, aveva puntato i riflettori sul grande limite della Transizione: il mantenimento del sistema rigorosamente neoliberista pinochettista, moltiplicatore delle disparità. A due anni dall’ondata di proteste, tuttavia, la nazione australe pare sul punto di voler cancellare anche gli indubbi meriti della Transizione, sostituendo la politica della mediazione e del pragmatismo che l’ha caratterizzata, con lo scontro fra estremi. In testa ai sondaggi – circostanza inedita negli ultimi trentun anni – non figurano i rappresentanti del centro-sinistra e del centro-destra storico, bensì due radicali. Da una parte, l’ex leader studentesco, Gabriel Boric, candidato della coalizione formata dai progressisti del Frente amplio e il Partito comunista. Dall’altra l’ultra-conservatore José Antonio Kast, ammiratore di Trump e Bolsonaro. I loro programmi non potrebbero essere più antitetici. Il primo promette di ampliare il ruolo dello stato e combattere i privilegi. Il secondo sostiene la capacità di autoregolazione del mercato, la chiusura delle frontiere e il pugno di ferro per arginare disordine e criminalità. Su un punto, però, concordano: l’urgenza di «seppellire» – per dirla alla Boric – la Transizione, perché troppo «timida» nelle riforme o, all’opposto, «troppo morbida» con i promotori del caos. Sarà davvero così?
Sostenitori di Kast - Ansa
Un primo segnale di incrinatura del sistema politico tradizionale era emerso con il voto per la Costituente del 15 e 16 maggio scorso. L’Assemblea era la principale richiesta dei manifestanti. A renderla possibile l’accordo tra centro-destra e centro-sinistra, che hanno sottoposto il quesito a un referendum popolare. In qualche modo, dunque, la sua convocazione era stata considerata uno dei frutti più maturi della Transizione, capace perfino di riformare se stessa. I risultati dell’elezione dei 155 delegati avevano, tuttavia, premiato gli indipendenti e gli esponenti della sinistra radicale. Una certa frustrazione delle aspettative, eccessive, nei confronti della nuova Costituzione potrebbe ora aver contribuito al successo dell’estrema destra. Kast, da sempre contrario, è stato tra i più duri critici del presidente conservatore Sebastián Piñera per la scelta di convocarla. La sua crescita nei consensi – non proprio casualmente – è avvenuta negli ultimissimi mesi, in cui Piñera ha sfiorato l’impeachment dopo le rivelazioni di presunte irregolarità finanziarie da parte dei Pandora Papers.
Militanti del Frente amplio fanno campagna per Boric - Reuters
Quello che emerge dagli ultimi sondaggi ufficiali – del 5 novembre, prima della “pausa” alle rilevazioni imposta dalla legge – è uno scenario estremamente frammentato, polarizzato e incerto. L’esponente della destra e quella della sinistra si contendono il vertice, con un leggero vantaggio del primo: 30,6 per cento contro 26,9 per cento. In terza e quarta posizione, ma con uno stacco di circa quindici punti, ci sono la democristiana Yasna Provoste e il liberale moderato, Sebastián Sichel. Gli altri tre aspiranti – Marco Enriquez Ominami, Franco Parisi e Eduardo Artés – sono considerati, al momento, fuori dalla partita. Le previsioni, dunque, escludono una vittoria al primo turno e prefigurano il ballottaggio – in programma il 19 dicembre – tra i “duellanti estremi”. In questo caso, però, questi ultimi sarebbero costretti a negoziare il sostegno di Provoste e Sichel, i quali potrebbero costituire un elemento di moderazione. C’è, poi, l’incognita degli indecisi: alla vigilia dell’apertura dei seggi, sono oltre la metà dei 15 milioni di elettori, chiamati anche a rinnovare la Camera dei deputati e 27 dei 50 senatori. E, infine, la questione dell’astensione: alle ultime elezioni regionali di giugno è stata intorno al 20 per cento.