Il voto. In Portogallo è rebus sul governo dopo la svolta a destra
Il leader dell'Alleanza Democratica, Luis Montenegro, esulta dopo la vittoria alle elezioni: i conservatori moderati sono diventati il primo partito ottenendo il 29,5% dei voti e superando i socialisti al governo crollati al 28,7%
Il Portogallo sarà guidato da un governo di minoranza. È questa l’unica certezza dell’era dell’incertezza aperta dalle politiche di domenica. Alleanza democratica (Ad), lo schieramento di centrodestra, ha ottenuto il 29,50 per cento delle preferenze vincendo il testa a testa al fotofinish con il Partito socialista. Meno di un punto percentuale e due deputati di differenza, 79 a 77 sul totale di 230. Una quota comunque sufficiente per far perdere alla sinistra la guida dell’amministrazione che deteneva dal 2015. Eppure sono trascorsi solo due anni da quando il fronte progressista aveva trionfato alle urne, incassando la maggioranza assoluta. Il clima politico è mutato rapidamente nel Paese. In particolare, i recenti scandali di corruzione hanno fatto crescere vertiginosamente lo scontento nei confronti della politica tradizionale. Questo, però, non si è tradotto in crollo dell’affluenza: al contrario, la partecipazione ha raggiunto il 63,2 per cento, il record in cinquant’anni di democrazia. Una quota importante di portoghesi, però, ha scelto un partito dichiaratamente anti-sistema già nel nome: “Chega” ovvero “basta” che ha ottenuto oltre un milione di consensi, il 18 per cento, quadruplicando i seggi, da 12 a 48.
È la formazione d’ultradestra fondata nel 2019 da André Ventura il vero vincitore della consultazione. Ma non entrerà nel governo. Il leader di Alleanza democratica, Luís Montenegro, lo ha detto più volte durante la campagna. E lo ha ribadito ieri, accusando il gruppo di Ventura di coltivare «idee spesso xenofobe, razziste, populiste ed eccessivamente demagogiche». Anzi, ha chiesto alle opposizioni – indicate come socialisti e “Chega” – di non coalizzarsi per «impedire la nascita del governo che i portoghesi hanno scelto». Senza l’estrema destra, l’unico alleato disponibile è il Partito di iniziativa liberale che, però, conta solo otto deputati. Insieme ne avrebbero 87, molti di meno dei 116 necessari per avere la maggioranza in Parlamento e portare avanti in modo indipendente il proprio progetto politico. Non resta, dunque, che percorrere la via dell’esecutivo di minoranza. L’ipotesi comincerà a prendere forma già oggi quando il presidente Marcelo De Sousa avvierà il giro delle consultazioni che terminerà il 20 marzo con l’incarico – abbastanza scontato – al leader del partito più votato, ovvero Montenegro. Il suo esecutivo si profila, però fragile. Dovrà negoziare con le forze politiche esterne – ora i socialisti ora l’ultradestra – per far passare ogni proposta. A cominciare dall’approvazione del budget per il 2025. Un’impresa ardua che potrebbe portare a una crisi anticipata. Vari analisti prevedono un ritorno alle urne già nel 2026. Una “deriva spagnola”, l’ha definita qualche commentatore in riferimento all’instabilità seguita nel decennio scorso nel Paese vicino alla rottura del bipartitismo. A Madrid erano stati Podemos e Ciudadanos a sparigliare l’alternanza tra socialisti e popolari. A Lisbona è “Chega” i cui slogan anti-immigrati e anti-casta non si discostano dalla retorica ultrà che imperversa da una sponda all’altra dell’Atlantico, da Trump ad Abascal, da Milei a Le Pen. Di fronte all’avanzare della cosiddetta “marea nera” nel Vecchio Continente, il Portogallo – insieme alla Spagna – aveva rappresentato l’eccezione. Ora sembra non essere più così. Una conferma potrebbe venire dal voto per le Europee. Due mesi, però, nella politica mordi e fuggi di questo millennio, però, sono un tempo lungo. E “Chega” potrebbe perdere appeal anche se ora sembra difficile immaginarlo. Le forze politiche tradizionali appaiono incapaci di integrare quei settori – sempre più numerosi – che non riescono a ritagliarsi uno spazio economico e sociale nell’attuale fase di cambiamento accelerato. Il loro malessere si trasforma spesso in rabbia a cui l’estrema destra sta riuscendo a dare voce e cittadinanza. Una voce, certo, semplice ma, per questo, accattivante. Come il “Basta” di Ventura