Hanno l’aria tranquilla e rilassata, a volte perfino annoiata, come se stessero assistendo ad un film con una trama improbabile e con attori di scarso talento. Loro non sono certo i protagonisti, anzi dicono di esserne fuori. Anche se stanno dentro una gabbia, ammanettati e sorvegliati a vista. Eccoli qua i tre ceceni accusati di aver preso parte all’assassinio di Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa sulla sua porta di casa a Mosca il 7 ottobre del 2006. Sono i fratelli Ibrahim e Dzabrail Makhmudov, due ragazzotti tarchiati, maglietta sportiva e capelli a caschetto tipo Beatles. Poi c’è Serghei Khazhikurbanov, sulla trentina, giubbotto di pelle e sguardo gelido, ex ufficiale di polizia. Il processo a loro carico è cominciato lo scorso novembre ed era previsto che dovesse svolgersi a porte chiuse.Solo in seguito alle proteste dei legali della famiglia Politkovskaja il tribunale ha fatto marcia indietro ammettendo il pubblico alle sedute. Ma quando ci presentiamo al numero 37 dell’Arbat, la famosa via pedonale di Mosca, davanti alla palazzina gialla dove ha sede la Corte militare, dobbiamo sottoporci ad una lunga trafila burocratica. «Non tutti possono entrare, i posti disponibili sono molto pochi » si scusa il funzionario. Dentro l’aula però nei banchi riservati al pubblico non c’è anima viva, ad eccezione del ristretto gruppo di cronisti giudiziari. L’uccisione della coraggiosa reporter che osò sfidare Putin e denunciò i crimini di guerra in Cecenia ha scosso il mondo intero. «Ma i russi non sono molto interessati a questo processo – ammette sconsolato un collega russo –. Veniamo qui per dovere professionale, raramente scriviamo qualcosa». Non è la sola sorpresa. Dietro le sbarre gli imputati sono quattro. Oltre ai tre ceceni vi è anche un russo, Pavel Ryaguzov, ex colonnello del Fsb, i servizi segreti che hanno preso il posto del Kgb. Non è direttamente implicato nell’assassinio della giornalista ma è accusato di tentato omicidio, insie- me con la banda cecena, nei confronti di un’altra persona. In quanto membro dei servizi di sicurezza Ryaguzov dev’essere giudicato da un tribunale militare. Il che spiega come mai il giudice ed il Pubblico Ministero portano una divisa. Ma non si capisce perché i due casi siano confluiti in un unico procedimento. Misteri della giustizia russa che dibatte dell’assassinio della Politkovskaja mischiandolo al tentato omicidio di un perfetto sconosciuto. Che qui sia in discussione il buon nome di polizia e servizi segreti non c’è dubbio. Ma in quest’aula non compaiono né il killer né i mandanti che hanno deciso d’eliminare la scomoda giornalista. Rustan Makhmudov, fratello dei due ceceni alla sbarra e considerato l’esecutore materiale del delitto, è fuggito in Occidente. Quanto ai mandanti ci sono soltanto supposizioni e vaghe accuse, come quella mossa dal procuratore Jurij Chajka che ha puntato il dito contro «personaggi che si trovano all’estero e vogliono destabilizzare la Russia», alludendo all’ex oligarca Berezovskij, nemico giurato di Putin. L’inchiesta condotta dal procuratore Chajka si è rivelata piena di lacune, la maggior parte dei sospettati è già stata scagionata. Sul banco degli imputati sono rimasti i tre ceceni, noti come quelli della 'Cosca Lasagna' (dal nome del ristorante dove si riunivano). Due balordi ed un poliziotto radiato per i suoi legami con la malavita, una piccola banda che avrebbe avuto un ruolo marginale nell’omicidio. L’ha confermato l’esame del Dna: le tracce trovate sulla scena del crimine non corrispondono a quelle degli imputati. C’è dunque il rischio concreto che il processo per il caso Politkovskaja finisca in un nulla di fatto, come tutte le indagini su uccisioni e morti sospette di tanti altri giornalisti russi. L’ultima brutale aggressione è avvenuta due mesi fa a Khimki, un sobborgo alle porte di Mosca. Mikhail Beketov, direttore del giornale locale Pravda è stato picchiato selvaggiamente ed è rimasto fra la vita e la morte per molti giorni. Per salvarlo i medici hanno dovuto amputargli una gamba. Beketov si era fatto promotore di una campagna ecologista contro la costruzione di una nuova autostrada e qualcuno l’ha voluto punire. Un caso minore che però ha avuto una vasta risonanza. Ne hanno parlato giornali e tv nazionali, hanno espresso la loro condanna influenti politici. «Non era mai successo finora – nota Elsa Vidal di Reporter senza frontiere –. Difficile credere che tanto improvviso sdegno sia sincero». C’è chi sospetta che tanta attenzione per il caso Beketov miri a far passare in secondo piano proprio il processo Politkovskaja. Il Cremlino nega e fa sapere che è allo studio la creazione di un centro per la protezione dei giornalisti. Ma allo stesso tempo il governo ha proposto di modificare il codice penale, estendendo il reato di alto tradimento a tutte le attività dirette contro « la sicurezza della Russia » , un concetto molto ampio che potrebbe includere i contatti dei giornalisti russi con organizzazioni straniere già finite nel mirino del potere. Ed in base alla legge contro l’estremismo entrata in vigore l’anno scorso, la polizia ha fatto irruzione il 5 dicembre nella sede di San Pietroburgo di 'Memorial', l’associazione che difende i diritti umani e compie ricerche sulle repressioni staliniane, sequestrando tutti gli archivi. L’accusa è di strumentalizzare la ricerca storica in chiave anti-governativa. In Russia tornerà ad essere reato l’anti-stalinismo?