Riciclare la plastica non basta. Occorre imperativamente abbattere la sua produzione nei prossimi anni, eliminando del tutto l’inquinamento da plastica entro il 2040. A
ltrimenti, nel 2060, gli oceani saranno zeppi più di plastica che di pesci. L’allarme è rilanciato con forza da Parigi, dove si apre oggi una conferenza internazionale, sotto l’egida dell’Unesco, giudicata decisiva per approdare a un trattato vincolante sulla piaga ambientale.Il bivio, ormai, è chiaro: lasciare alle future generazioni un mondo ridotto a un ‘regno della microplastica’, oppure agire in fretta per preservare un pianeta ancora abitabile.
Fra i ministri dell’Ambiente presenti a Parigi, anche la ruandese Jeanne D’arc Mujawa Mariya, divenuta uno dei volti simbolo di quell’Africa che non si rassegna a soccombere di fronte al flagello. Tanto che nel 2008 il Ruanda è divenuto il primo Paese al mondo a proibire i sacchetti di plastica. «Ci occorre un’aria di qualità, un’acqua di qualità e pure del suolo che sia di qualità. E tutto questo non è possibile se non si mette fine all’inquinamento da plastica», ha dichiarato a Parigi, con la credibilità che le conferisce oggi pure il suo status di co-presidente del cosiddetto ‘Gruppo per l’alta ambizione’. Insomma, quella cerchia di Paesi che vuole ottenere il massimo dal futuro trattato in cantiere, i cui diversi aspetti saranno discussi durante tutta la prossima settimana a Parigi
dai delegati di 61 Paesi. Dopo decenni di crescita forsennata, la p
roduzione di plastica continua ad aumentare nel mondo e al ritmo attuale potrebbe persino raddoppiare fra poco più di 30 anni. In media, ogni abitante del pianeta consuma circa 60 chili di plastica all’anno, ma in Europa la media sale a 150 chili e negli Stati Uniti a 300. Al contempo, sta crescendo in fretta pure la consapevolezza internazionale e intergenerazionale su un punto decisivo: il ‘regno della microplastica’ non conosce frontiere, penetrando ogni ambiente e organismo. Un inquinamento davvero ubiquo che riguarda i Paesi poveri e quelli ricchi.
Il cibo nei nostri piatti e lo stesso organismo umano, dove si ritrovano tracce crescenti di microplastica, derivata dalla scomposizione solo parziale nell’ambiente degli oggetti di plastica d’ogni tipo. Secondo gli scienziati, le particelle continueranno a frammentarsi e a circolare per millenni. A livello diplomatico, la battaglia resta complessa. Da una parte,
ci sono i 54 Paesi membri proprio della Coalizione per un’alta ambizione verso la fine dell’inquinamento da plastica nel 2040, guidati da Ruanda e Norvegia. Un gruppo di cui fa parte l’insieme dell’Unione Europea. Dall’altra, quei Paesi grandi produttori di plastica che continuano a mostrarsi ben poco attenti all’allarme, a cominciare da Cina, Stati Uniti e Arabia Saudita. L’obiettivo annunciato della conferenza di Parigi è di giungere a una bozza di trattato, in modo che possa essere finalizzato e approvato entro l’anno prossimo. Fra le poste in gioco dell’appuntamento, vi è pure la creazione di un gruppo di esperti internazionali paragonabile a quello già istituito per il clima, in modo da
monitorare l’evoluzione della piaga con più dettaglio e su basi scientifiche, evidenziando i progressi d’ogni Paese. Si sta studiando pure un meccanismo per colpire a livello doganale le esportazioni dei Paesi che continueranno a fare orecchie da mercante. I proventi potrebbero servire a finanziare la transizione mondiale verso un mondo senza nuovo inquinamento da plastica.