Mondo

Unesco. Parte da Parigi la crociata per il Trattato sulle plastiche

Daniele Zappalà, Parigi sabato 27 maggio 2023

Bottiglie di plastica recuperate dal mare

Riciclare la plastica non basta. Occorre imperativamente abbattere la sua produzione nei prossimi anni, eliminando del tutto l’inquinamento da plastica entro il 2040. Altrimenti, nel 2060, gli oceani saranno zeppi più di plastica che di pesci. L’allarme è rilanciato con forza da Parigi, dove si apre oggi una conferenza internazionale, sotto l’egida dell’Unesco, giudicata decisiva per approdare a un trattato vincolante sulla piaga ambientale.

Il bivio, ormai, è chiaro: lasciare alle future generazioni un mondo ridotto a un ‘regno della microplastica’, oppure agire in fretta per preservare un pianeta ancora abitabile. Fra i ministri dell’Ambiente presenti a Parigi, anche la ruandese Jeanne D’arc Mujawa Mariya, divenuta uno dei volti simbolo di quell’Africa che non si rassegna a soccombere di fronte al flagello. Tanto che nel 2008 il Ruanda è divenuto il primo Paese al mondo a proibire i sacchetti di plastica. «Ci occorre un’aria di qualità, un’acqua di qualità e pure del suolo che sia di qualità. E tutto questo non è possibile se non si mette fine all’inquinamento da plastica», ha dichiarato a Parigi, con la credibilità che le conferisce oggi pure il suo status di co-presidente del cosiddetto ‘Gruppo per l’alta ambizione’. Insomma, quella cerchia di Paesi che vuole ottenere il massimo dal futuro trattato in cantiere, i cui diversi aspetti saranno discussi durante tutta la prossima settimana a Parigi dai delegati di 61 Paesi.

Dopo decenni di crescita forsennata, la produzione di plastica continua ad aumentare nel mondo e al ritmo attuale potrebbe persino raddoppiare fra poco più di 30 anni. In media, ogni abitante del pianeta consuma circa 60 chili di plastica all’anno, ma in Europa la media sale a 150 chili e negli Stati Uniti a 300.

Al contempo, sta crescendo in fretta pure la consapevolezza internazionale e intergenerazionale su un punto decisivo: il ‘regno della microplastica’ non conosce frontiere, penetrando ogni ambiente e organismo. Un inquinamento davvero ubiquo che riguarda i Paesi poveri e quelli ricchi. Il cibo nei nostri piatti e lo stesso organismo umano, dove si ritrovano tracce crescenti di microplastica, derivata dalla scomposizione solo parziale nell’ambiente degli oggetti di plastica d’ogni tipo. Secondo gli scienziati, le particelle continueranno a frammentarsi e a circolare per millenni.

A livello diplomatico, la battaglia resta complessa. Da una parte, ci sono i 54 Paesi membri proprio della Coalizione per un’alta ambizione verso la fine dell’inquinamento da plastica nel 2040, guidati da Ruanda e Norvegia. Un gruppo di cui fa parte l’insieme dell’Unione Europea. Dall’altra, quei Paesi grandi produttori di plastica che continuano a mostrarsi ben poco attenti all’allarme, a cominciare da Cina, Stati Uniti e Arabia Saudita.

L’obiettivo annunciato della conferenza di Parigi è di giungere a una bozza di trattato, in modo che possa essere finalizzato e approvato entro l’anno prossimo. Fra le poste in gioco dell’appuntamento, vi è pure la creazione di un gruppo di esperti internazionali paragonabile a quello già istituito per il clima, in modo da monitorare l’evoluzione della piaga con più dettaglio e su basi scientifiche, evidenziando i progressi d’ogni Paese. Si sta studiando pure un meccanismo per colpire a livello doganale le esportazioni dei Paesi che continueranno a fare orecchie da mercante. I proventi potrebbero servire a finanziare la transizione mondiale verso un mondo senza nuovo inquinamento da plastica.