Gaza. Il cardinale Pizzaballa a Pentecoste nella parrocchia della Sacra Famiglia
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa saluta una famiglia nella parrocchia della Sacra famiglia a Gaza
"Siamo in tutto in 500 qui nella parrocchia di Gaza: 450 cristiani e i 50 bambini musulmani disabili delle suore Madre Teresa. La situazione è delicatissima, come in tutta la Striscia: ma dentro al nostro compound, grazie al lavoro sociale e pastorale, la situazione è più serena che nel resto della Striscia". La voce di padre Gabriel Romanelli, raggiunto al telefono da Avvenire è serena, quasi esultante: "Provo una grande gioia, profonda per essere finalmente rientrato nella mia parrocchia. Gioia, assieme a un dolore profondo per quanto sta avvenendo" spiega il parroco della Sacra Famiglia, rimasto bloccato a Gerusalemme dal 7 ottobre in poi. Giovedì, assieme al cardinale Pierbattista Pizzaballa, è finalmente il rientro a Gaza. E il patriarca latino di Gerusalemme domenica celebrerà con loro la Messa di Pentecoste, amministrando pure la cresima a due ragazzi della parrocchia. Un segno di particolare vicinanza e di speranza verso la comunità cristiana più colpita dalla tragedia che ha colpito Israele e la Palestina. Con il cardinale Pizzaballa e padre Gabriel Romanelli anche padre Carlos, pure lui sacerdote verbita, e due suore sempre della congregazione del Verbo incarnato. Resteranno per dare manforte a padre Yousef: per otto mesi il vice parroco e due religiose già attive nella parrocchia, sono state l'unico sostegno alla comunità travolta dalla guerra.
"Una gioia enorme poter rivedere i cristiani di Gaza. Sono parroco da 5 anni, ma qui in missione quasi da 20 anni: li conosco uno ad uno". L'incontro non può cancellare il dolore, mentre a Gaza city si combatte ancora adesso e nei quartieri rasi al suolo girano militari, milizie e bande armate senza controllo. Una violenza che ha colpito duro. "Dal 7 ottobre ci sono stati 36 morti: 20 per i combattimenti e 16 per non aver ricevuto i farmaci salvavita", afferma il sacerdote argentino.
Giovedì, nella piccola delegazione partita da Gerusalemme, c'era pure Alessandro de Franciscis rappresentante dell'Ordine di Malta che ha lasciato la Striscia dopo aver valutato i possibili aiuti socio-sanitari per prossime spedizioni umanitarie. I più fragili, all'interno del compound, sono i piccoli handicappati, tutti musulmani, assistiti dalle suore di Madre Teresa. Con loro pure alcune donne anziane rimaste sole e ospitate sempre dalle Missionarie della carità. Un accordo di cooperazione tra il patriarcato e l'Ordine di Malta prevede, in futuro, l'invio di nuovi farmaci e materiale salva vita.
Questo mentre la comunità di cristiani latini e ortodossi ogni giorno lotta per una apparente normalità: "Un giorno si cucina, l'altro si fa il pane: acqua e il cibo vengono distribuiti anche fuori dal compound a migliaia di persone", spiega padre Romanelli. Il compound dei cristiani a Gaza city è divenuto un centro sociale di aiuto per l'intero quartiere: oltre alla mensa è attivo pure un ambulatorio della parrocchia che grazie alla Caritas ha riaperto. "E poi continua la vita spirituale: Messa e rosario quotidiano. Stiamo riprendendo delle lezioni per i bambini. Non possiamo ancora chiamarla scuola, ma è già qualcosa. E pure l'oratorio ha riaperto: circa 60 bambini, ora impegnati nei giochi d'acqua". La normalità, che vuol dire resistenza: "Incontrandoli il patriarca Pizzaballa ha detto: oltte alla vostra fede colpisce il fatto che riuscite a sorridere. Non siete arrabbiati, dimostrate serenità". Ci sono state vittime, molti sono scappati, ripete il parroco di Gaza: "Ma molti vogliono rimanere. E, come ha detto il patriarca, noi rispettiamo la loro decisione" conclude padre Romanelli. Restando, con gli altri sacerdoti e religiose, fianco a fianco del suo piccolo gregge.